Come lo «zucchero» ha salvato migliaia di vittime delle guerre
L’ultimo reportage storico di Giacomo Mameli chiude una trilogia dedicata alla seconda guerra mondiale
di Davide Madeddu
2' di lettura
Lo zucchero che non deve mancare, perché in guerra e in mezzo alla miseria, diventa oro. Ma anche la memoria, «per non dimenticare e non ripetere gli errori del passato». Quelli delle guerre. Sono pagine di «storie e di Storia» quelle che Giacomo Mameli, giornalista e scrittore “sardo” racconta nel suo libro La chiave dello zucchero, edito da Il Maestrale, e debutto al salone di Torino con letture di Ascanio Celestini e Iaia Forte e chitarra di Chiara Effe.
Un viaggio da cronista tra personaggi piccoli e grandi «sarete voi, di volta in volta, a dare una definizione» che chiude una trilogia dedicata alla seconda guerra mondiale iniziata con La ghianda è una ciliegia del 2006. Lavoro che si è guadagnato il premio nazionale di letteratura nel 2007, giuria presieduta da Sergio Zavoli che racconta una metafora della fame, della povertà in Sardegna e in Italia in quel periodo: «Chi mangia una ghianda e la trova buona come una ciliegia fa capire qual era il livello della miseria». Poi Il forno e la sirena con i lager in Germania e i bombardamenti su Cagliari.
E “La chiave dello zucchero con i bambini che volevano mangiare zucchero ma non lo trovavano, perché la mamma lo chiudeva a chiave e la chiave era sotto la gonnella”. Giacomo Mameli, 78 anni laurea in sociologia a Urbino (tesi con Carlo Bo e Paolo Fabbri) allinea e dà voce alle esperienze o ai racconti dei testimoni apprese “tra le pareti di una casa, un cantiere di lavoro o in chiacchiere tra amici e supportate poi dal confronto con i fogli matricolari dell'Archivio di Stato “che danno sicurezza e coerenza al racconto orale” .
«Racconto per scelta storie di gente senza voce – chiarisce -. Di militi davvero ignoti, di analfabeti che mi hanno fatto capire la storia più dei testi studiati al liceo o all'università. Ho capito gli orrori del nazismo e del fascismo, di chi è “vivo per due chili” perché a Bergen Belsen (il lager di Anna Frank) una mattina pesa 37 chili. A 35 sarebbe finito bruciato vivo nel forno». I testimoni con cui dialoga Giacomo Mameli, che ha ideato e dirige il festival letterario “Sette sere, sette piazze, sette libri” nel piccolo paese di Perdasdefogu, raccontano l'Egitto di El Alamei, la Tunisia ma anche Kenya e Sudafrica, arrivano poi sino alle Alpi vicine al Monte Bianco. E spostandosi poi in Toscana, fra le colline metallifere attorno a Volterra e le campagne di Firenze.
«Nei ricordi dei soldati vengono spesso confusi o storpiati i nomi dei luoghi dove le battaglie, le marce si sono svolte – scrive nella premessa -. Ma, alla fine, tutto torna». E tutto torna nel lavoro di Giacomo Mameli, che mette assieme racconti orali e libri di storia. «Leggendo sopratutto Paolo Caccia Dominioni ho visto quanti sardi sono morti e di cui nulla in Sardegna si sa. Quindi credo sia un altro libro utile per non dimenticare». Per capire il disastro provocato dalle guerre. E con la speranza di non doverne raccontare altre.
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