il dibattito

Commercialisti, specializzazioni sconsigliate ai giovani

di Giancarlo Fusco

3' di lettura

Trasformare le sfide in opportunità: verso un quadro strategico comune per i Commercialisti.

La categoria dei commercialisti costituita da ragionieri e dottori, unificata a seguito del Dlgs 139/05, ha sempre sostenuto sin dalla loro formazione il mondo in cui finanza, commercio, artigianato e servizi hanno collaborato allo sviluppo socio economico della nostra bella Italia.

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Con la riforma tributaria, attuata in osservanza delle disposizioni contenute nella legge 825/71, in relazione alla delega ricevuta, il Governo ha provveduto ad emanare, a partire dal 1972, i decreti delegati che hanno regolato le imposte, il contenzioso tributario, l'anagrafe tributaria, l'accertamento e la riscossione dei tributi.

La maggioranza dei commercialisti ha messo al centro della propria attività professionale quella tributaria e fiscale basata sulla conoscenza, l'esperienza e la necessità legislativa in essere. Tale specializzazione, senza esclusiva, ha rappresentato una profonda trasformazione ed integrazione della professione messa a disposizione degli imprenditori e dello Stato.

I commercialisti, più di altri lavoratori autonomi, risentono dei contraccolpi in materia di aggiornamento professionale e tecnologico. Per il superamento della crisi oramai strutturale che sta colpendo da anni la categoria, così legata alla propria identità, necessita che il futuro della stessa non sia più demandata al solo Consiglio nazionale ma deve essere costruito dall'intero sistema territoriale di riferimento anche con le associazioni di categoria sia a livello nazionale che territoriale.

Solo un'azione mirata, strutturale e di sistema può affrontare le sfide che il mercato pone. In realtà, necessita mettere al centro dei lavori dell'organismo centrale la disponibilità della categoria ad assumere, nei confronti delle Istituzioni, le responsabilità che sono proprie dell'attività del commercialista.

Bisogna fare in modo che per il commercialista, come per l'avvocato, per l'ingegnere, per il geometra e per tutte le altre attività professionali ordinistiche, esista l'obbligo della sottoscrizione degli atti prodotti. Il commercialista, quale incaricato di pubblico esercizio e per la difesa della dignità che gli è propria, deve, in virtù di una norma specifica da emanare, firmare tutti gli atti tipici di gestione poste in essere per il cliente, richiesti dalla pubblica amministrazione, per ottenere agevolazioni – esenzioni- contributi - dichiarazioni e così via.

Solo attraverso la sottoscrizione degli atti elaborati all'interno dello studio e quindi l'assunzione di responsabilità è possibile acquisire la dignità di professionista. Il concetto di specializzazione, tanto ventilato dal presidente del Consiglio nazionale, non è certamente importante se si vuole dare ai giovani la possibilità di affezionarsi alla professione. Il professionista meno giovane che opera sul mercato da diversi anni ha già acquisito una propria dignità professionale sia a livello personale che di studio, per la qual cosa la specializzazione cui è riferimento il dibattito, non gli serve.

Gli studi moderni, in chiave nazionale, europea ed internazionale sono costituiti in studi interprofessionali associati all'interno dei quali ci sono professionisti la cui specializzazione è avvenuta o dal mercato o con la frequenza di stage a proprie spese.

Il Consiglio nazionale dovrebbe spendere le proprie risorse ed energie nel preparare corsi di aggiornamento culturale inteso nel senso di sviluppare il concetto moderno di fare la professione in rete, per servire il cliente a 360 gradi.

L'assenza di una visione moderna della professione da parte dell'Organismo centrale unitamente a quello periferico, rappresenta la morte tout court delle professionisti libere intellettuali e il radicamento sul territorio delle grosse strutture che, per capacità organizzativa e per grandi operazioni di marketing aggrediranno il mercato in danno dello studio tradizionale.

L'intervista con Miani

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