COMMERCIO

Commette reato il responsabile del supermercato che vende merce deteriorata

di Silvia Marzialetti

(Agf)

2' di lettura

Commette reato il responsabile del supermercato che mette in vendita prodotti deteriorati: lo ha sancito la Cassazione con la sentenza 19596 depositata oggi.

La vicenda nasce da una sentenza del 2014 con la quale il Tribunale di Pordenone condannava il responsabile di un supermercato del veneziano a una ammenda di 3mila euro per aver esposto in vendita, tra gli scaffali del supermercato, a una temperatura di 19 gradi, venti confezioni sottovuoto di parmigiano, nonostante la confezione riportasse chiare indicazioni sulla modalità di conservazione in frigorifero, a una temperatura compresa tra gli 0 e gli 8 gradi. A riprova del pessimo stato di conservazione, uno di questi prodotti presentava tracce di muffa.

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La sentenza della Cassazione

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Contro la sentenza del Tribunale di Pordenone, presenta ricorso il titolare della rivendita, invocando «illogicità di motivazione» e proponendo una rivisitazione del materiale probatorio: sostiene, infatti, che dall'istruttoria fosse emersa l'assenza di correlazione tra la temperatura di conservazione e la muffa presente su un solo prodotto. Nel ricorso ribadisce inoltre che il formaggio poteva essere conservato a temperatura ambiente; che non fosse stato comunque accertato il tempo di esposizione delle confezioni alla temperatura ritenuta troppo alta; che il pezzo di formaggio su cui erano state rilevate tracce di muffa fosse preconfezionato e non visibile dall'esterno - se non per una piccola porzione - e che, infine, la presenza di muffa non fosse imputabile alla temperatura di conservazione. Tutti i rilievi mossi dal ricorrenti erano volti a sovvertire la ricostruzione effettuata dal primo giudice che, sulla base della inidoneità delle modalità di conservazione di tutte le 19 confezioni di formaggio esposte per la vendita a temperatura ambiente (quindi indipendentemente dalla presenza di muffe su uno di essi) ha ritenuto che tali prodotti fossero in pessimo stato di conservazione.

Le censure del ricorrente - stigmatizzano i giudici di Cassazione - piuttosto che individuare vizi di motivazione, sono dirette a conseguire una diversa valutazione delle risultanze di fatto correttamente considerate dal Tribunale. “Doglianze” che, fanno notare i giudici, risultano pertanto inammissibili. Le censure sollevate dal ricorrente - si legge nella sentenza depositata ieri - non tengono conto che il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso. Al giudice di legittimità non è attribuito il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell'iter argomentativo seguito dal giudice di merito.
Il ricorso, pertanto, è considerato inammissibile.

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