Il nuovo lavoro

Computer, controlli e «rotazioni»: così lo smart working dopo il 31 luglio

Ancora per due mesi hanno diritto al lavoro agile persone disabili e genitori. In vista di una prosecuzione l’azienda dovrebbe stabilire le condotte sanzionabili

di Aldo Bottini

Lo smart working da 500mila a 8 mln lavoratori

5' di lettura

Le aziende riaprono, ma non per questo il ricorso allo smart working è una parentesi che si chiude. Anzitutto il lavoro agile è, nella fase di progressiva uscita dal lock down, un’importante misura di prevenzione del rischio da contagio, fortemente raccomandata dai protocolli sanitari e dai documenti tecnici Inail, perché funzionale alla rarefazione delle presenze e al distanziamento sociale nei luoghi di lavoro. Gli stessi ispettori del lavoro sono invitati a verificare che si faccia ricorso allo smart working in tutti i casi in cui ciò è possibile.

Inoltre, è stata considerevolmente estesa la platea dei lavoratori che possono invocare un diritto a lavorare in modalità agile, originariamente limitata a lavoratori invalidi e immunodepressi (o con familiari in tali condizioni), e che oggi include anche i genitori di figli minori di 14 anni (Dl 34/2020, articolo 90).

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La fine dell’emergenza

Ma soprattutto molte aziende, dopo questa grande sperimentazione di massa del lavoro agile, si stanno interrogando se abbia veramente senso tornare, anche dopo la fine dello stato di emergenza, a lavorare come prima. Twitter e Facebook hanno già annunciato che faranno dello smart working, anche in futuro, la modalità ordinaria di lavoro. Ma anche chi non intende (o non può) adottare un approccio così radicale, non può non chiedersi, sicuramente in questa fase ma anche in prospettiva, se non sia il caso di invertire la prospettiva nella maggioranza dei casi sin qui seguita, che prevedeva generalmente uno-due giorni alla settimana in smart working e il resto della settimana in presenza.
Si tratta, in sostanza, di partire da un punto di vista diverso e verificare, caso per caso, quali siano effettivamente le necessità di presenza fisica sul luogo di lavoro, sperimentando uno smart working “ritagliato” sulle esigenze di ogni azienda e di ogni singolo reparto, che lasci libero il lavoratore di decidere se lavorare nei locali aziendali o altrove, limitando la presenza obbligatoria in ufficio ai soli casi di effettiva necessità.

La legge sul lavoro agile (81/2017), incentrata sull’accordo individuale, consente questo genere di flessibilità e di adattamento alle specifiche situazioni. Anche per questo non andrebbe modificata.

Accordi da rivedere

Occorre dunque immaginare di rivedere gli accordi individuali e i regolamenti pre-pandemia (per chi li aveva), e di rinegoziare gli eventuali accordi sindacali, alla luce dell’esperienza fatta. Intanto è possibile utilizzare questi mesi in cui perdura lo stato di emergenza, ed è quindi ancora possibile applicare lo smart working “semplificato”, come una sorta di test, elaborando e impartendo ai lavoratori coinvolti istruzioni adeguate e flessibili che considerino anche, ove possibile e necessario, un’alternanza tra lavoro da remoto e presenza fisica nei luoghi di lavoro.

È però ancor più importante recuperare lo spirito originario dello smart working, un po’ offuscato dal lock down. Lavoro agile non significa affatto lavorare da casa, anche se questo è quello che abbiamo fatto nell’emergenza, ed è bene ricordarlo per non regredire al vecchio telelavoro. Lo smart working è anzitutto uno strumento manageriale innovativo, che implica il passaggio da una valutazione del lavoro basata sul tempo e sulla presenza a una focalizzata sui risultati della prestazione lavorativa. Significa in sostanza lavorare per obiettivi. E questo presuppone che gli obiettivi vengano correttamente assegnati e il loro raggiungimento controllato. Serve quindi una cultura manageriale adeguata, ma servono anche strumenti regolamentari ben congegnati.

Come scrivere la policy sui controlli

Oltre ai regolamenti e agli accordi individuali, è necessario predisporre un’adeguata policy sull’uso degli strumenti informatici e sulle modalità di controllo a distanza, nel rispetto delle previsioni dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori. Senza questa policy, non è possibile utilizzare i dati acquisiti attraverso gli strumenti di lavoro usati dal lavoratore agile.

Serve il codice disciplinare

Non meno importante (anche per la protezione dei dati aziendali) è un codice disciplinare che individui le condotte sanzionabili, connesse all’esecuzione della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali.

Anche l’elaborazione di una completa informativa sui rischi per la salute e la sicurezza, che per questo periodo è stato possibile fare in forma standard, andrà attentamente considerata per tutelare il lavoratore ma anche per porre l’azienda al riparo da futuri contenziosi. Insomma, se si vuole mettere a frutto l’esperienza di questi mesi di smart working “forzato”, c’è molto lavoro da fare ed è bene non attendere la fine dell’emergenza.

LE ULTIME PRONUNCE DEI GIUDICI

La tutela del lavoratore disabile

Il principio. Alla luce dell’attuale contesto normativo, la promozione del godimento delle ferie appare una misura subordinata - o quantomeno equiparata, non certo primaria - laddove vi siano le concrete possibilità di ricorrere al lavoro agile e il datore di lavoro privato vi abbia fatto ricorso. Ne consegue che è illegittima la condotta del datore che si sia rifiutato di ammettere al lavoro agile il lavoratore affetto da disabilità, prospettandogli la scelta tra la sospensione non retribuita del rapporto e il godimento forzato di ferie peraltro non ancora maturate.
Tribunale di Grosseto, sez. Lavoro, ordinanza 203/2020 502 del 23 aprile 2020

L’indicazione ai datori. Il datore di lavoro, a quanto risulta dalla decisione, non aveva ammesso al lavoro agile un lavoratore (invalido), nonostante i colleghi dello stesso reparto fossero stati posti in smart working. Il giudice, pur riconoscendo che non esiste un obbligo generalizzato del datore di consentire il lavoro agile, ha considerato illegittimo il diniego opposto alla richiesta del lavoratore, non essendo state prospettate dal datore valide ragioni organizzative per operare nei suoi confronti un trattamento diverso da quello riservato agli altri colleghi

La compatibilità delle mansioni con il lavoro agile

Il principio. In base all’articolo 39 del Dl Cura Italia deve riconoscersi il diritto della lavoratrice invalida al 60% e madre di una ragazza con disabilità grave a ottenere un ordine in via cautelare per lo svolgimento del lavoro in modalità agile, considerato che le sue mansioni (impiegata II livello del commercio) possono essere svolte con l’uso del telefono e con strumenti informatici e che uscire da casa per recarsi al lavoro la espone - nel tempo occorrente per una pronuncia di merito - a un grave rischio per la salute sua e della figlia.
Tribunale di Bologna, sezione Lavoro, decreto 2759 758/20
del 23 aprile 2020

L’indicazione ai datori. In questo caso la lavoratrice si trovava nelle condizioni soggettive previste dalla legge per esercitare il diritto a lavorare in modalità agile. Il giudice, anche in assenza di argomentazioni contrarie del datore di lavoro (rimasto contumace) ha valutato che le mansioni impiegatizie della dipendente ben potessero essere svolte tramite telefono e strumenti informatici. Considerato il rischio per la salute derivante dallo svolgimento dell’attività con modalità ordinarie, ha ordinato al datore di lavoro di assegnare alla lavoratrice modalità di lavoro agile, dotandola degli strumenti necessari o concordando l’uso di quelli personali.

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