Con Armani e Fendi sfilano humour e carisma
di Angelo Flaccavento
3' di lettura
Il tempo presente della moda è dominato dal caos di età ed estetiche, da contrasti e confondenti compresenze. Le sfilate milanesi di questi giorni ne sono esempio lampante. Inutile cercare una tendenza univoca, perché va tutto, in simultanea; impossibile, quasi sempre, distinguere una collezione dall’altra - un giubbotto zippato e i pantaloni della tuta quello sono-, e c’è poco da fare con l’ossessione streetwear che impera. Mancano i nuovi autori, anche se certo l’autorialità richiede tempo per strutturarsi. Non è un caso che le voci chiare e nette appartengano ai mostri sacri. Giorgio Armani, ad esempio, che va dritto al punto con il pugno di ferro e la mano (alla lettera) di velluto.
Nessun pavoneggiamento sulla passerella del re, ma uomini - non ragazzini, né ribelli fuori tempo massimo - gentili e consapevoli, vestiti di bluson di velluto e pantaloni cargo, di doppiopetto a otto bottoni e giacche con il collo-foulard, di smoking e camicie bianche. Armani immagina un guardaroba per come si deve, insieme morbido e militaresco, soft in una maniera assolutamente armaniana, nel quale il velluto regna sovrano perché, dice «è il più bello e luminoso dei tessuti».
Al decorativismo che distrae, Miuccia Prada oppone un blocco solido di nylon nero - il tessuto che, negli anni novanta, propulse la maison milanese nell’olimpo - dichiarandosi interessata «alla parte utilitaria e industriale del nostro dna». Ogni show Prada è un opus totale, quindi il concetto è amplificato dal set: i modelli, vestiti di piumini lisci e bermuda, di stratificazioni plumbee e abiti tinti sotto rulli compressori, sfilano tra le casse dal misterioso contenuto arrangiate dentro un vero magazzino trasformato da Rem Koolhaas in un magazzino surreale. Il repulisti è uno schiaffo salutare come un detox: forse troppo nostalgico dei successi passati ma autorevole nel ribadire con Loos che l’ornamento è delitto.
Il tema del viaggio - anche solo intorno all’isolato di casa - è centrale nella moda funzional-stradaiola di questa stagione, ma le interpretazioni che colpiscono sono poche. Silvia Venturini Fendi vince per humor e capacità di scatenare il desiderio con un merchandising folle e spassoso. I bomber di visone intarsiato e i piumini trapuntati agli ultrasuoni, e poi i set di valigie di visone, gli ombrellini-cappello e le infinite variazioni sui codici e i logo Fendi sono oggetti così assurdi da apparire indispensabili. Nato come progetto a latere, l’uomo Fendi ha acquisito negli anni una identità unica nel panorama italiano e internazionale: coniuga altissimo artigianato e linguaggio millennial con intelligente spirito di sintesi, ed è la dimostrazioni che anche le grandi maison possono rinnovarsi senza svilirsi.
È tempo di rinnovamento anche da Pal Zileri, dove il nuovo direttore creativo, Rocco Iannone, fa compiere un vigoroso balzo in avanti puntando sulla gentilezza come valore e sul colore - tratto saliente del dna della casa - come carattere, definendo un guardaroba pittorico e magniloquente, ma radicato nella realtà.
Federico Curradi è un colorista di rango e uno dei talenti più promettenti della new wave italiana: stampa sagome di fiori su lunghi cappotti, alleggerisce e fluidifica, trovando equilibrio tra precisione umana e caos della natura. Nessun ritegno, invece, da Moschino, dove protagonista è il corpo nella sua flagrante sessualità, rivelato attraverso tagli e torsioni del classico come non si vedeva dai tempi del miglior Gaultier.
Corpi scattanti e seduzione non celata anche per i cowboy urbani - e le cowgirls - di Dsquared2, dove poco cambia, ma la qualità e la cura del prodotto sono sempre alte.
Lo streetwear impera, dunque: un linguaggio senza barriere che può declinarsi in gotico abrasivo come da Palm Angels o in italiano ottimista come da MSGM e N°21, che con distorsioni e reinvenzioni del classico tengono alto il vessillo di Milano in una stagione purtroppo magra di nomi e di proposte.
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