Con “Autoctonie” la moda riscopre la lana sostenibile
Da Confindustria Pescara-Chieti il progetto per ridare vita alla filiera degli ovini
di Chiara Beghelli

3' di lettura
Una parola può perdere il suo senso originario: lo dimostra il caso del termine «pecunia», che deriva dal latino “pecus”, gregge. Un tempo le pecore erano animali talmente preziosi, in grado di fornire latte, carne e lana, da essere considerati una vera e propria moneta. L’Abruzzo è stato per secoli la sua “banca” e le pecore una cruciale fonte di ricchezza, almeno fino al secondo dopoguerra, quando l’allevamento ha iniziato a perdere i suoi vantaggi economici. Non i lupi, ma i costi di gestione molto superiori ai prezzi di vendita hanno da allora decimato le greggi abruzzesi e l’economia della regione a esse legata. Nel frattempo,un nuovo termine è diventato protagonista del dibattito pubblico: «sostenibilità». E in questo ambito, proprio la lana è entrata fra le materie prime sotto osservazione dei consumatori più sensibili al benessere del pianeta: la produzione intensiva di cashmere, generata da una domanda globale in aumento, sta infatti mettendo a rischio le steppe fra Cina e Mongolia e le loro fragili economie.
Combinando questi elementi, la Sezione moda di Confindustria Chieti-Pescara ha lanciato il progetto “Autoctonie” per dare nuova vita alla filiera degli ovini abruzzesi, a partire proprio dalla loro lana. «Secondo le stime più recenti in Abruzzo oggi vivono circa 250mila pecore. Un tempo erano milioni – spiega Nicola Di Marcoberardino, che della Sezione Moda è presidente -. Produrre lana è diventato così poco vantaggioso che gli allevatori la conferiscono in discarica o la bruciano nei campi. Con il progetto Autoctonie vogliamo far rivivere la filiera della lana abruzzese, a partire dal coinvolgimento dell’industria della moda».
Di Marcoberardino è anche direttore industriale di Brioni, il marchio sartoriale nato a Roma nel 1945 ma che a Penne, in provincia di Pescara, ha la sua sede di confezionamento e che dal 2012 fa parte del gruppo del lusso francese Kering. E proprio Brioni è diventato capofila del progetto: «Tramite la maison abbiamo riallacciato anche i contatti con i lanifici del Biellese, storicamente legati alla produzione di lana abruzzese .- prosegue -. Brioni è partner del Lanificio Fratelli Piacenza 1733, che ha acquistato una balla di lana sucida (cioè grezza, ndr) prodotta nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga e raccolta dall’Associazione Pecunia, che lavora con gli allevatori della zona, e l’ha trasformata in filato utilizzabile da un marchio di moda. Certo, non ha la finezza di un cashmere, ma possiede un certo carattere, che Brioni poi ha usato e valorizzato per una capsule collection per questo autunno-inverno chiamata “KmZero”. Ed è già in arrivo un’altra collezione per la primavera-estate 2020, che sarà presentata a novembre. È un importante inizio, ma ora la sfida è coinvolgere sempre più partner per dar vita a un sistema».
Al progetto hanno aderito intanto anche altri partner locali, come la camiceria Belisario, e Pianeta Formazione, che si occupa di formazione nel settore moda. E tramite Brioni anche Kering, gruppo da 13,6 miliardi di ricavi nel 2018 e che ha messo la sostenibilità al centro della sua strategia, potrebbe ampliare l’uso della sostenibile lana abruzzese ad altri marchi del suo portfolio (fra cui Gucci, Saint Laurent, Bottega Veneta e Balenciaga).
«A fine anno lanceremo la seconda fase di Autoctonie – prosegue Di Marcoberardino –: il 29 novembre presenteremo durante il primo incontro Connext a Pescara i primi risultati dello studio sulle potenzialità della filiera della lana, condotto insieme all’Università D’Annunzio di Chieti e Pescara. L’obiettivo è creare un consorzio o un contratto di rete per sostenere la filiera e renderla appetibile anche ai giovani imprenditori. Per dare una nuova vita a una delle economie più antiche e floride della nostra regione».
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