IL LAVORO che cambia

Con i coworking rurali il futuro sorge in campagna

Si stanno sviluppando in diversi Paesi europei anche grazie alla spinta che l'effetto Covid. E così gli incubatori rurali costituiscono fonte di innovazione per nuove comunità in aree sguarnite di servizi

di Paola Stringa

2' di lettura

Ricreare opportunità fuori dal perimetro della densità metropolitana. È l'obiettivo degli hub di coworking rurali, che si stanno sviluppando in diversi Paesi europei anche grazie alla spinta che l'effetto Covid ha impresso ai propositi di guardare ai territitori decentrati per plasmare stili di vita più sostenibili. Gli incubatori rurali costituiscono fonte di innovazione per nuove comunità in aree sguarnite di servizi e flussi di conoscenza.

Non si tratta di condividere una scrivania o una caffetteria: il territorio diventa laboratorio di progettualità e microimprenditorialità, come a Sende tra le montagne della Galizia, Treballu in Sardegna, NeoruraleHub alle porte di Milano o Katapult in Slovenia. I rural coworkers sono nomadi digitali che aderiscono a reti virtuali per sviluppare idee e relazioni che generano valore.

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Carlo Coni ha avviato Treballu a Laconi (Oristano) nel 2019: «L'obiettivo è diventare un incubatore strutturato e avviare azioni di microcredito. Osserviamo un movimento di rientro, per lavorarecon piattaforme digitali o per rilevare l'azienda di famiglia. La spinta che il Covid ha dato a questo trend va accompagnata con lo sviluppo di leve economiche di lungo periodo e infrastrutture adeguate». Qui c'è chi si occupa di progettazione europea (Studio Fulghesu), di corsi di italiano per stranieri (Slang Center), di turismo (Federico Melis, che organizza tour naturalistici nell'isola) o di fotografia (Emanuele Demontis che, con Lasu Production, si è inventato il “Destination Wedding” nelle location più belle del mondo).

Un terzo dei cittadini europei vive in zone rurali e, rispetto agliabitanti delle città, ha a disposizione meno occasioni di scambio; è sfavorito da un più difficile accesso alle tecnologie ed è più esposto al rischio povertà. «Per rivitalizzare questi territori servono soluzioni gemmate dal capitale sociale locale, dai giovani come propulsori di energie e da una rete multi stakeholder che sappia gestire ecosistemi complessi con approccio sistemico», afferma Federico Mento di Ashoka, che ha inaugurato il primo Festival internazionale DeCentro per riattivare le comunità decentrate.

«La dicotomia centro-periferia è superata. Il futuro sarà di smart city circondate da smart land, perciò le zone periurbane saranno cruciali nel processo di rigenerazione delle metropoli», aggiunge Piero Manzoni, ceo di NeoruraleHub, centro di innovazione per la filiera agrifood e incubatore di start-up e scale-up a pochi chilometri da Milano. «I presìdi come il nostro possono ospitare sperimentazioni ambientali e agricole. Qui offriamo 14 campi ad altrettante aziende per testare tecniche che tutelano il suolo, sale test e prototipi in aree attrezzate, oltre a connessioni con una rete virtuosa di imprese, enti locali, player e istituzioni internazionali».

In seno a NeoruraleHub, la start-up Planet ha creato impianti pilota per trasformare l'acqua salina in acqua per fertilizzare i campi; Local Green si occupa di produzioni “vertical farming” in ambienti chiusi e controllati; Idroplan ha dato vita a un sistema di algoritmi per rilevare l'umidità del suolo e supportare un minor consumo d'acqua. E la catena di ristorazione MiScusi ha aperto una farm per integrare la propria filiera di approvvigionamento.

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