Le idee del governo su Caivano non sono immuni dal rischio securitario
Lo schema è tanto semplice quanto fallace: siamo tutti in grave pericolo, è urgente intervenire, bisogna farlo introducendo obblighi e divieti, meglio se assistiti da sanzioni penali
di Carlo Melzi d'Eril e Giulio Enea Vigevani
I punti chiave
3' di lettura
Dopo le violenze di Palermo e di Caivano quale risposta l'ordinamento nel suo complesso dovrebbe fornire alla cittadinanza attonita?
Il Governo, al solito, non si sottrae alla tentazione securitaria. Lo schema è tanto semplice quanto fallace: siamo tutti in grave pericolo, è urgente intervenire, bisogna farlo introducendo obblighi e divieti, meglio se assistiti da sanzioni penali. Ove le sanzioni penali già ci sono, occorre aumentarle. Comunque, bisogna invocare l'emergenza – vera o presunta – e approvare sull'onda emotiva qualche misura che consenta a chi è al potere di “mostrare i muscoli” e dimostrare che “lo Stato c'è”.
Così, ci siamo trovati a leggere sui giornali le posizioni di vari rappresentanti dell'esecutivo e della maggioranza in base alle quali, visti i noti episodi di cronaca, sarebbe indispensabile intervenire e farlo introducendo, con decretazione d'urgenza, misure sulla imputabilità dei minori (estendendola anche sotto i 14 anni), ampliare il ricorso al cosiddetto daspo urbano (il divieto di accesso a determinate aree per alcune persone) e l'avviso orale del Questore anche per i minorenni. E, forse inutile dirlo, a ciò si andrebbe ad aggiungere l'aggravamento di pene per vari reati nonché la espulsione più facile per gli stranieri colti o sospettati di aver commesso illeciti, fino a vere e proprie sgrammaticature costituzionali quali la castrazione chimica . Una pratica che un membro del governo non dovrebbe, non diciamo proporre, ma nemmeno menzionare, anche solo per l'idea di violenza sul corpo del reo che l'espressione evoca.
Insomma, sembra che ancora una volta, l'ennesima, l'unica risposta sia vietare, punire, incarcerare (se non peggio), il più possibile, anche i preadolescenti.
L'ordinamento attuale
Partendo da quest'ultimo aspetto, qual è la situazione oggi? Nel nostro ordinamento può essere punito solo chi è capace di intendere e di volere, cioè chi è imputabile. Un rimprovero e quindi una sanzione nei confronti di chi non lo è sarebbe priva di senso e sarebbe molto simile a una mera vendetta di Stato. La persona che non ha compiuto 14 anni non è imputabile; dai 14 ai 18 anni il giudice deve verificare se la persona fosse capace di intendere e di volere al momento del fatto; oltre i 18 anni quest'ultima capacità si presume, salvo dimostrazione del contrario.
I principi della Costituzione
Si tratta, nonostante il periodo in cui fu approvato il codice, di una regola che ancora oggi appare equilibrata e ragionevole nel regolare l'esposizione della persona alle conseguenze penali dei propri comportamenti, conforme con il principio costituzionale secondo cui la responsabilità penale è personale. Tutto è perfettibile o, più precisamente, meglio adattabile ai tempi e ai luoghi, quindi anche questa regola, come (quasi) qualunque altra è suscettibile di modifiche. Ciò tuttavia deve essere frutto di un approfondimento serio, con il coinvolgimento di esperti, sociologi, psicologi infantili, giuristi e, perché no, statistici. E questi dimostrerebbero che la criminalità giovanile non è in netta ascesa, come si dipinge, ma è sostanzialmente stabile rispetto a un decennio fa e si concreta per lo più in furti, danneggiamenti e altri reati legati alla condizione di marginalità sociale.
Un uso “emozionale” del diritto penale
E invece ci troviamo, di nuovo, davanti a un uso emozionale del diritto penale, legato a fatti di cronaca e agli umori collettivi, che produce disposizioni mal scritte, preda delle censure della Corte costituzionale, che frammentano l'ordinamento e hanno solo valenza politica, anzi di bassa politica, ovvero la ricerca di un consenso nel breve periodo.
Le riforme, in materia penale, invece, poiché toccano equilibri delicati e hanno effetti devastanti sulla vita delle persone, devono avere tempi di gestazione lunghi e verifiche successive altrettanto ponderate. Siamo “reduci” da una imponente riforma strutturale del sistema, che ha impegnato alcune tra le migliori menti del Paese in materia. Prima di intervenire ancora, in preda a un'emergenza che non c'è, sarebbe il caso di valutare il funzionamento delle nuove disposizioni.
Questo perenne legiferare di fretta, invece, è tipico del peggior populismo che all'idea costituzionale della riabilitazione, favorita da un percorso articolato ma spesso efficace, tende a favorire ricette semplici, sintetizzate in slogan quali “in galera“ o “buttiamo via la chiave” e inesorabilmente votate al fallimento rispetto allo scopo ultimo, cioè garantire una maggior pace sociale.
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