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Con Draghi tassi immobili e nuova liquidità. Cosa succede ora all’euro?

di Vito Lops

(REUTERS)

3' di lettura

Un anno fa con un euro si potevano acquistare 1,25 dollari. Oggi sempre con quello stesso euro si ricevono in cambio 1,12 dollari. Ergo, in 12 mesi l’euro si è svalutato nei confronti del biglietto verde del 10%. Una notizia certamente positiva per chi ha acquistato la scorsa primavera titoli di Stato americani - che peraltro sulla scadenza a 10 anni avevano superato il 3% - e una notizia meno incoraggiante per chi ha rimandato il viaggio negli Stati Uniti a questa primavera.

Come per qualsiasi cosa, anche in finanza tutto dipende dal punto di vista dell’osservatore. Nelle ultime ore il cambio eur0/dollaro - che da inizio anno si è dimostrato incredibilmente e insolitamente piatto tra 1,14 e 1,13 - è tornato a ballare.

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Le parole del governatore uscente della Bce Mario Draghi di giovedì - che ha rinnovato la politica accomodante lanciando nuovi prestiti agevolati alle banche nella formula T-Ltro a partire da settembre - hanno alimentato le vendite di euro. Quando una banca centrale immette liquidità e/o taglia i tassi la rispettiva valuta tende a svalutarsi. E così ieri è stato. L’euro non ha perso terreno solo nei confronti del dollaro, ma anche sullo yen. Essendo un cross valutario un rapporto tra due monete e quindi tra due realtà economiche bisogna analizzare entrambe le campane.

Quanto al cambio euro/dollaro - il più liquido del pianeta con un controvalore di scambi quotidiani intorno ai 5mila miliardi di dollari - ha perso oltre mezza figura in pochi secondi, scivolando sotto quota 1,125, proprio dopo il discorso da “colomba” di Draghi. Ieri mattina le vendite sono proseguite e il cambio è sceso sotto quota 1,12. Nel pomeriggio però la spinta ribassista ha colpito più il dollaro e così il cambio è tornato sopra quota 1,12.

IL CAMBIO EURO/DOLLARO

Quanti dollari per un euro (Fonte: Ufficio Studi Il Sole 24 Ore)

IL CAMBIO EURO/DOLLARO

Questo perché i nuovi dati sul lavoro negli Usa hanno confermato il rallentamento della crescita. A febbraio sono stati creati “appena” 20mila nuovi posti di lavoro, a fronte dei 311mila di gennaio e dei 180mila attesi dagli analisti. Un dato decisamente sottotono, solo in parte compensato dall’aumento dei salari orari medi cresciuti dello 0,4% su base mensile rispetto al +0,3% atteso.

In attesa di novità, molti esperti - tra cui Abn Amro - ipotizzano che nelle prossime settimane il cambio possa continuare a scendere e che la prossima soglia sia quella di 1,1. Non dimentichiamo che tra il 2016 e il 2017 l’euro ha oscillato tra 1,05 e 1,1. Allora in molti avevano profetizzato il ritorno verso la parità con il dollaro. In quel periodo le politiche monetarie delle due aree erano contrapposte: mentre la Bce avviava il quantitative easing la Fed tornava a rialzare i tassi. Il cambio ha risposto in modo accademico e l’euro si è svalutato decisamente.

Quanto al prossimo futuro, il destino del cambio dipenderà anche dalle decisioni che prenderà il 20 marzo, in occasione del consiglio direttivo, il governatore della Federal Reserve Jerome Powell. Se l’economia Usa proseguisse nel consolidamento/rallentamento non ci dovrebbero essere tante altre occasioni di discesa per l’euro/dollaro. Perché alla politica accomodante della Bce risponderebbe eventualmente la Fed riducendo la velocità del tightening, la politica in atto di parziale ritirata della liquidità messa in campo a partire dal 2009. In questo caso le politiche monetarie di Eurozona e Usa tornerebbero ad essere allineate, e questo potrebbe rendere più stabile il cambio.

twitter.com/vitolops

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