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Con la guerra russa è nato lo stato ucraino

La guerra russa all’Ucraina è iniziata il 27 febbraio 2014, non già il 24 febbraio 2022. Nove anni fa, le truppe russe entrarono in Crimea e occuparono alcune aree delle regioni orientali del Paese, annettendole alla Federazione russa

di Sergio Fabbrini

(Darryl - stock.adobe.com)

3' di lettura

La guerra russa all’Ucraina è iniziata il 27 febbraio 2014, non già il 24 febbraio 2022. Nove anni fa, le truppe russe entrarono in Crimea e occuparono alcune aree delle regioni orientali del Paese, annettendole alla Federazione russa. Allora, la reazione ucraina fu debole, quella occidentale ambigua. Un anno fa, invece, l’aggressione russa ha incontrato ben altra risposta, sia da parte degli aggrediti che dei loro alleati occidentali. Perché? Per due ragioni principali.

Prima ragione. La guerra russa ha creato uno Stato (l’Ucraina). Dopo il 2014, l’Ucraina ha avviato un processo di costruzione statale (a cominciare dai suoi apparati militari) non dissimile da quello esperito in Europa nel passato. Come dimostrò mezzo secolo fa Charles Tilly (uno dei maggiori studiosi di state building ), «sono le guerre che creano gli stati». E così sta avvenendo in Ucraina. L’Ucraina del dopo 2014 è uno Stato-nazione, mentre non lo era l’Ucraina precedente al 2014.

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L’impreparazione del 2014 ha lasciato il posto, nel 2022, a un esercito disciplinato e motivato, basato su un’organizzazione moderna e innovativa, collegato a una leadership politica riconosciuta. Anche in guerra, l’Ucraina ha continuato ad essere afflitta dai suoi problemi, come la corruzione, ma ora ha uno Stato per affrontarli. Tim Judah (NYRB), nei suoi resoconti dall’Ucraina, ha raccontato come la guerra abbia creato un sentimento patriottico che non esisteva prima, condiviso da tutti i gruppi etnici, compresi quelli di lingua russa. Nello stesso tempo, la Russia sta mostrando i limiti del suo Stato. Come ha spiegato su Foreign Affairs Lawrence Freedman, la Russia sta ricorrendo alla “guerra totale” (cioè all’aggressione indiscriminata alla popolazione e alle infrastrutture dell’Ucraina) per sopperire agli errori dei suoi comandi militari, ai ritardi tecnologici dei suoi armamenti e alle inefficienze delle sue catene di approvvigionamento. Per di più, le sanzioni economiche si fanno sentire. La Russia è superiore sul piano della quantità, ma non della qualità, tant’è che ha bisogno di minacciare il ricorso alle armi nucleari per ribadire la sua forza. Inoltre, una parte della società russa si sta sfilando dal controllo statale. I 200.000 soldati russi morti in Ucraina hanno spinto centinaia di miglia di persone a fuoriuscire dal Paese, tra cui giovani (con alta qualificazione) che non vogliono morire in una guerra incomprensibile. Naturalmente, i regimi autoritari hanno strumenti repressivi per tenere sotto controllo i cittadini. Però l’Ucraina ha costruito uno Stato per difendersi dalla Russia, la Russia sta decostruendo il proprio per conquistare l’Ucraina.

Seconda ragione. La guerra russa ha riportato l’America in Europa. La presidenza Biden ha imparato dalle ambiguità del 2014. La risposta americana all’aggressione russa dell’Ucraina è stata un “capolavoro diplomatico-militare” (per dirla con Fareed Zakaria). L’America di Biden è riuscita a sostenere la guerra senza farla, ad aiutare l’Ucraina senza attaccare la Russia. Una distinzione cruciale per prevenire la degenerazione del conflitto, senza però fuggire da quest’ultimo. Una distinzione imposta agli stessi ucraini (che l’hanno accettata talora obtorto collo). Seppure contrastata dai settori trumpiani del Partito repubblicano, la presidenza di Biden dispone (almeno fino al 2024) di un sufficiente consenso interno sulla sua strategia di sicurezza. Una strategia di cui, invece, l’Ue ancora non dispone, anche perché ha faticato a liberarsi dalla sindrome del 2014 (pensare di controllare Putin con i commerci). Gli Stati membri dell’Ue hanno reagito uniti, approvando pacchetti di sanzioni contro il regime putiniano. Tuttavia, con il prolungamento della guerra, l’unità iniziale si è disarticolata. Dopo un anno, l’Ue non ha ancora una politica energetica comune, né ha una comune politica fiscale per garantire regolari aiuti all’Ucraina. Ma soprattutto è priva di una politica comune della sicurezza, con la Francia e la Germania disponibili ad una mediazione con Putin e diversi Paesi orientali decisi invece a rovesciare quest’ultimo. La Commissione, non avendo competenze nella sicurezza, può fare poco. Il Consiglio dei capi di governo, pur avendo quelle competenze, non riesce a fare molto. L’Ue continua a dipendere dalla leadership americana. Ma se questa divenisse riluttante, cosa succederebbe? Comunque, la guerra russa ha riportato l’America in Europa, guarendo la Nato dalla sua “morte cerebrale” (diagnosticata dal presidente francese Macron nel 2019) ma non l’Ue dal suo mercantilismo opportunistico. Infine, le difficoltà russe sono dovute alla fallacia delle scelte di Putin. Su Foreign Policy Steven Walt ha mostrato come Putin abbia sottovalutato le capacità di resistenza degli ucraini e sopravvalutato le capacità di offesa dei russi. Quegli errori sono dovuti ad informazioni inesatte, trasmesse per assecondare “le volontà del capo”. Ma soprattutto sono dovuti ad un sistema verticistico in cui le decisioni vanno dall’alto in basso senza contro-argomenti.
I leader commettono errori anche nei sistemi pluralistici, ma questi ultimi consentono alla società di correggerli, sostituendo chi li compie. Una possibilità preclusa a Mosca
e da tenere stretta da noi.

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