Con i mercati sotto pressione non sempre il prezzo è giusto
Quando i prezzi di scambio dei prodotti finanziari sono dislocati, i partecipanti ai mercati rischiano di prendere decisioni inefficienti
di Paolo Pasquariello, Marti G. Subrahmanyam e Davide Tomio
4' di lettura
Nel rispondere all’epidemia di coronavirus, investitori, aziende e governi sono spesso guidati prima e giudicati poi dalla “risposta dei mercati”. Questo approccio si basa su una fiducia incondizionata nell’abilità dei mercati finanziari di aggregare informazioni rilevanti in maniera efficiente. In questo articolo invitiamo i partecipanti ai mercati finanziari, le autorità di regolamentazione, e la classe politica ad applicare questo approccio con grande cautela, specialmente durante periodi di crisi come quello odierno.
Numerosi studi dimostrano che i mercati finanziari possono divenire dislocati se soggetti a estrema pressione, nel senso che gli strumenti finanziari scambiati cessano di essere prezzati correttamente, sia in termini assoluti che in termini relativi. Naturalmente, la nozione di “valore assoluto” di uno strumento finanziario (ad esempio un titolo obbligazionari o azionario) rimane oggetto di un intenso dibattito in ambito accademico e professionale. C’è invece unanime consenso sull’idea che i mercati finanziari debbano in generale essere in grado di attribuire lo stesso prezzo a due strumenti finanziari identici. Questo principio, noto agli economisti come la “legge del prezzo unico”, rimane uno dei fondamenti dell’economia finanziaria moderna e, come tale, è alla base dell’enorme mercato dei prodotti derivati.
I mercati finanziari violano la legge del prezzo unico usualmente, ma lo fanno specialmente durante periodi di turbolenza, instabilità, o estrema volatilità, durante i quali l’impianto idraulico della finanza si guasta al punto da creare importanti e spesso durature divergenze tra i prezzi di strumenti finanziari altrimenti identici. Di qui la nomenclatura di “dislocazioni”. Molti studi accademici hanno trovato evidenza di considerevoli dislocazioni nei mercati azionari, obbligazionari, monetari, valutari e delle materie prime, specialmente durante la crisi finanziaria del 2008. C’è, purtroppo, evidenza che delle dislocazioni abbiano cominciato a manifestarsi anche adesso, durante l’epidemia di coronavirus.
Queste dislocazioni non sono solamente una curiosa peculiarità della finanza, ma possono anche creare seri problemi all’economia reale, per almeno due motivi. Primo, investitori, aziende e governi dipendono dal corretto funzionamento dei mercati finanziari per distribuire rischi e allocare risorse. Se dislocati, i mercati finanziari non possono esercitare queste funzioni in maniera efficiente, finendo per danneggiare (invece che aiutare) l’economia reale.
In questo momento, tali problemi sono particolarmente seri nell’Unione europea, i cui membri più severamente colpiti dalla pandemia (come l’Italia e la Spagna) devono fronteggiare costi di indebitamento e oneri finanziari sempre più elevati mentre altri (come la Germania) continuano ad avere un accesso illimitato e quasi gratuito al credito, nonostante ne abbiano meno bisogno.
Basti considerare, ad esempio, tre importanti istituti di credito europei: Deutsche Bank (Germania), UniCredit (Italia), e Santander (Spagna). Prima della crisi, alle due banche italiana e tedesca era attribuito un simile coefficiente di rischio, come dimostra il rating di BBB/BBB+ attribuito loro da Standard&Poors (S&P), mentre la banca spagnola veniva considerata più sicura e degna di credito, avendo ricevuto un rating S&P di A. Un simile verdetto veniva pronunciato dai mercati finanziari per via dei rispettivi credit default swap (Cds) spread. I Cds spread rappresentano sia un popolare indicatore del consenso dei mercati intorno alla probabilità di insolvenza di un debitore sia un cruciale ingrediente nella determinazione dei suoi costi di indebitamento.
Ai primi di marzo, cioè all’inizio della pandemia, la “risposta dei mercati” dettava che UniCredit avrebbe dovuto pagare circa 100 punti base (1%) di interesse in più rispetto a Deutsche Bank per assumere un nuovo prestito, nonostante entrambe avessero un profilo di rischio molto simile fino a pochi giorni prima. Questa differenza di costo è sostanziale, se si considera che i tassi di interesse privi di rischio in euro sono negativi. In aggiunta, i mercati ritenevano che il rischio di insolvenza di Santander, la banca col rating più alto (A), fosse triplicato in meno di tre settimane, mentre tale rischio fosse solamente raddoppiato per Deutsche Bank. Questa iniziale dislocazione sul mercato dei Cds avrebbe potuto avere conseguenze disastrose per l’Italia e la Spagna, dal momento che sia UniCredit sia Santander avrebbero dovuto trasferire i loro più elevati oneri di indebitamento ai propri clienti (famiglie e aziende locali).
In circostanze normali, mercati efficienti impiegano correttamente tutte le informazioni disponibili nel determinare i prezzi di scambio degli strumenti finanziari, prezzi di cui investitori, aziende e governi tengono conto nel prendere decisioni di investimento e finanziamento. Quando invece questi prezzi sono dislocati, i partecipanti ai mercati finanziari rischiano di prendere decisioni inefficienti che possono dare origine a profezie che si autoavverano.
Nell’esempio di prima, se il mercato dei Cds è dislocato, i suoi prezzi finiscono per riflettere valutazioni distorte del rischio di insolvenza assoluto e relativo di aziende e governi dell’Ue. Queste valutazioni possono poi indurre gli investitori a condurre transazioni finanziarie aggressive su titoli e obbligazioni pubbliche e private (ad esempio, vendita di titoli italiani e spagnoli e acquisto di titoli tedeschi). Queste transazioni, a loro volta, finiscono per far crescere gli oneri di indebitamento e il rischio di insolvenza proprio dei debitori (italiani e spagnoli) più bisognosi di credito, in un circolo vizioso che diventa difficile da interrompere.
Non c’è dubbio che, immediatamente dopo la crisi del 2008, l’aver ignorato le numerose dislocazioni dei mercati finanziari abbia contribuito alla severità della recessione che ne seguì. Fortunatamente, i recenti interventi delle piu’ importanti banche centrali al mondo (Federal Reserve e Bce in primis) in risposta alla pandemia rivelano due promettenti caratteristiche in tal senso. Anzitutto, la consapevolezza che alcuni cruciali mercati finanziari siano al momento, o possano a breve diventare dislocati. Poi, la volontà di intraprendere qualsiasi azione che sia necessaria per rimediare alle dislocazioni esistenti e prevenire quelle future. Nel nostro esempio, l’annuncio di un largo stimolo al credito da parte della Bce il 18 Marzo (noto come Pandemic Emergency Purchase Program, o Pepp) ha avuto l’immediato effetto di ridurre gli oneri finanziari delle tre importanti banche europee a un livello consono al proprio rischio di insolvenza assoluto e relativo precedente alla pandemia.
Le “lezioni di idraulica” della crisi finanziaria del 2008 sembrano essere finalmente state assorbite, e ci si augura che possano evitare le catastrofi che simili dislocazioni avrebbero potuto causare all’economia globale mentre l’intero pianeta è impegnato in una feroce battaglia contro il coronavirus.
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