salvare gli oceani

Con pinne e maschera nel museo australiano

Il Museum of Underwater Art, prima installazione d'arte subacquea dell'emisfero australe, è pronto. Quando l’emergenza Coronavirus finirà i sub-visitatori portanno finalmente conoscere, al largo della Grande barriera corallina, i percorsi artistici sommersi del suo fondatore, Jason deCaires Taylor

di Emma Desai

Statue del Museum of Underwater Art

2' di lettura

Al largo della Grande barriera corallina, il Museum of Underwater Art, prima installazione d'arte subacquea dell'emisfero australe, è ormai pronto. Quando l’emergenza Coronavirus terminerà, i sub-visitatori potranno fluttuare nel silenzio delle acque seguendo i percorsi artistici sommersi che hanno reso celebre il suo fondatore, Jason deCaires Taylor. «Lavoro per creare spazi che permettano agli uomini di comprendere la dimensione marina, che è estremamente vasta, incredibilmente delicata, molto poco conosciuta», racconta a IL. Da Cancún a Creta, dalle Bahamas a Lanzarote, le opere dello scultore britannico (che ha aperto un altro museo subacqueo in Messico) sono sparse per il globo, accomunate dalla riflessione sulla salvaguardia dei mari.

Il governo australiano ha assicurato fondi per 2 milioni di dollari e il museo sarà avviato in collaborazione con università, centri di ricerca e associazioni locali. «Prima d'ora non avevo mai creato qualcosa di questa portata nel Pacifico», continua Taylor. «L'ecosistema è diverso rispetto a quelli con cui ho interagito nei precedenti progetti e, dato che i miei lavori sono pensati per essere abitati e attraversati liberamente dalla fauna marina, è stato necessario un lungo studio preventivo». A pochi mesi dagli incendi che hanno devastato il Paese, lo scultore spera che il suo progetto favorisca nuove riflessioni: «Riscaldamento delle acque, roghi devastanti, scioglimento dei ghiacci: non esiste una gradazione nel rischio di questi fenomeni. È fondamentale educare alla coscienza ambientale, favorendo il rapporto diretto uomo-natura. In questo, l'arte può svolgere un compito prezioso».

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La prima installazione, Ocean Siren, è una scultura a energia solare che raffigura una giovane ragazza indigena, che ha i piedi a filo dell'acqua con la bassa marea ed è completamente sommersa con quella alta. Cambierà colore in relazione alla temperatura dell'acqua, così da mostrare direttamente lo stato critico del riscaldamento degli oceani, e il conseguente sbiancamento dei coralli. Poco dopo, aprirà la Coral Greenhouse, una sorta di serra subacquea che funzionerà come vivaio per frammenti di corallo, fornendo un habitat ideale per la fauna marina. Ospiterà alcune delle future sculture sommerse, ma è pensata per diventare anche centro educativo sottomarino e laboratorio scientifico: «Speriamo di far progredire anche la ricerca, offrendo opportunità a scienziati, studenti marini e università». Quanto alla struttura della Greenhouse, spiega Taylor, la sfida principale è stata renderla in grado di resistere a onde e cicloni: «Inoltre ho voluto che fosse visibile da diverse prospettive, sia ai sub sia agli amanti dello snorkeling che la potranno ammirare restando in superficie».

Sono previsti una ventina di altre sculture e 50mila visitatori all'anno. «Una volta archiviato questo lavoro», conclude Taylor, «mi piacerebbe installare una scultura al largo di Venezia. I temi ricorrenti del mio lavoro, il surriscaldamento e il conseguente innalzamento del livello delle acque, investono la vita della Laguna. Sarebbe interessante proporre un'opera che sottolinei la drammaticità del fenomeno dell'acqua alta, considerando il fatto che l'isola ha, da sempre, una vocazione artistica straordinaria: quale miglior modo di legare territorio, attualità e arte?».

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