Concessione d’uso dei beni e degli spazi culturali: il MiC detta le tariffe
Con il DM 11, 13 aprile 2023 n. 161 il ministro Sangiuliano ha stabilito gli importi minimi dei canoni per l’uso dei luoghi della cultura e i corrispettivi per la riproduzione dei beni statali. Critiche dal mondo accademico e professionale sulle spese anche minime per finalità di studio
di Marilena Pirrelli
I punti chiave
8' di lettura
Lo Smithsonian Open Access consente di scaricare, condividere e riutilizzare gratuitamente milioni di immagini del museo senza limiti o autorizzazioni. Condivide con diverse piattaforme oltre 4,5 milioni di immagini e articoli digitali 2D e 3D dalle collezioni (da cui abbiamo liberamente tratto la foto di questo articolo «Scheherazade» 1915 di H. Lyman Saÿen dal Smithsonian American Art Museum, Gift of H. Lyman Sayen to his nation), incluse immagini e dati provenienti da 21 musei, da nove centri di ricerca, dalle biblioteche e dagli archivi. Open source e musei negli States rappresentano una storia ormai consolidata. L’Italia, invece, sembra andare controcorrente almeno per quanto riguarda la riproduzione dei beni culturali statali finalizzati allo studio e alla ricerca, tanto da suscitare la reazione di un folto gruppo di università, associazioni e studiosi. Perché?
Esattamente un mese fa il ministero della Cultura Gennaro Sangiuliano ha emanato le “Linee guida per la determinazione degli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per la concessione d'uso dei beni in consegna agli istituti e luoghi della cultura statali” (DM 11,13 aprile 2023 n. 161), con un allegato che determina gli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi di concessione in uso di spazi (sezione B individuando tariffazione per classi di dimensioni e pregio) e per la riproduzione di beni culturali statali (sezione A), che dovranno essere adottati da ciascun istituto o luogo di cultura, verranno pubblicati nella sezione Trasparenza e trasmessi alla Direzione generale competente per la raccolta e successiva pubblicazione sulle rispettive sezioni nel sito internet istituzionale del MiC, non solo anche pubblicati sul portale nazionale delle località (locations) e degli incentivi promosso dalla Direzione generale Cinema e Audiovisivo e gestito da Istituto Luce Cinecittà (www.italyformovies.it). L’applicazione del decreto non prevede oneri per la finanza pubblica e l'utilizzo di risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. Insomma si cerca di portare nelle casse dei musei nuove risorse con l’attuale personale in organico.
La visione strategica
La Digital Library del MiC ha aggiornato il Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale 2022-2023, v. 1.1 (PND), che ha definito la visione strategica del processo di trasformazione digitale 2022-2026 rivolta a musei, archivi, biblioteche, istituti e luoghi di cultura statali: gli strumenti operativi a supporto della trasformazione digitale, cinque linee guida, di cui due chiariscono le norme per l'acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni di beni culturali in ambiente digitale (n. 3) e la classificazione di prodotti e servizi digitali, processi e modelli di gestione (n. 4). Già la direttiva sul copyright nel mercato unico digitale (Direttiva (2019/790/UE), come recepita in Italia (d. lgs. n. 177/2021), aveva comportato significative modifiche alla legge sul diritto d'autore (l. n. 633/1941), introducendo eccezioni per favorire le attività di tutela e valorizzazione svolte dai musei. “La principale novità ha riguardato la riproduzione delle opere d'arte di pubblico dominio (art. 32-quater lda), come la maggior parte dei grandi capolavori dei nostri musei, sancendo che, alla scadenza della durata di protezione (70 anni dopo la morte dell'autore), la digitalizzazione non dà luogo a materiale protetto da diritti d'autore, facendo comunque salve le disposizioni sulla riproduzione di beni culturali” afferma l'avvocato. Silvia Stabile, Focus Team Arte e beni culturali, BonelliErede. Ciò significa che, anche dopo la riforma della legge sul diritto d'autore, alla riproduzione di un'opera d'arte di pubblico dominio di proprietà dello Stato, continua ad applicarsi il Codice dei beni culturali (artt. 107 e ss., d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42; DM 20 aprile 2005). “In sostanza fin qui nulla cambia: per riprodurre un bene culturale, a scopo di lucro o per fini commerciali, occorre richiedere l'autorizzazione all'istituto che ha in consegna il bene e pagare il corrispettivo dovuto in base ai tariffari a seconda dell'uso che il richiedente intende fare (es. editoria, merchandising, pubblicità, serigrafie digitali) (art. 108 del Codice)” prosegue l’avvocato Stabile.
E proprio in ragione dei nuovi modelli di gestione di servizi e prodotti a valore aggiunto messi in evidenza nel PND e per realizzare una adeguata valorizzazione economica del patrimonio culturale statale, il Ministero ha emanato queste Linee guida (DM 11,13 aprile 2023 n. 161), prevedendo che i corrispettivi siano definiti mediante elenchi, adottati da ciascun istituto che ha in consegna i beni e incrementati mediante l'adozione di appositi tariffari.
Cosa cambierà rispetto al passato?
La questione è di estrema attualità perché le Linee guida affrontano per la prima volta le riproduzioni ad altissima definizione di beni culturali pubblici da destinare al mercato (es. digital copies). A riguardo, stabiliscono che, per le serigrafie digitali in altissima definizione di beni culturali, realizzate su supporto fisico, autenticate e/o numerate in serie, destinate alla commercializzazione in mercati determinati, l'istituto individui il corrispettivo applicabile ai fini della concessione, sommando la tariffa per il livello di pregio dell'opera (es. autore o bottega, stile, importanza storica e artistica) al coefficiente per la percentuale sul prezzo di vendita. Non sarà più possibile quindi per direttori dei musei, com’è accaduto per la vendita da parte degli Uffizi della serigrafia digitale del «Tondo Doni» di Michelangelo, concludere contratti senza tener presente le nuove tariffe indicate dal MiC.
Se poi le serigrafie digitali sono finalizzate alla realizzazione di Non-Fungible Token (NFT), destinati alla commercializzazione e/o allo scambio su piattaforme online, l'istituto concedente individua la tariffa applicabile ai fini della concessione, sommando la tariffa per livello di pregio al coefficiente relativo al numero di vendite di NFT.
Importante notare che, indipendentemente dal corrispettivo individuato, la concessione è subordinata alla previa verifica di compatibilità della destinazione d'uso con il carattere storico-artistico del bene culturale; inoltre, eventuali accordi già stipulati con operatori del mercato, ove prevedano corrispettivi inferiori, dovranno essere oggetto di adeguamento da parte dei direttori dei musei.
Riproduzioni finalizzate allo studio
Al di fuori dell’aspetto commerciale, poi il Decreto prevede un costo per le riproduzioni a scopo non di lucro per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale. Sebbene esista un “principio di gratuità (decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 200) per il riuso dei dati in possesso di pubbliche amministrazioni e organismi di diritto pubblico, con possibilità di prevedere il pagamento di una tariffa limitata al recupero dei soli costi marginali, identificabili con quelli sostenuti dall'amministrazione per la riproduzione, fornitura e diffusione dei dati, nondimeno l’art. 7 d.lgs. 24/1/2006, n. 36, modificato dal d.lgs.n. 200 2021- è scritto nell’Allegato al DM – ha comunque previsto una eccezione proprio per i contenuti prodotti e resi disponibili da biblioteche (comprese quelle universitarie), musei e archivi in ragione dell'onerosità delle attività di produzione e conservazione dei dati del patrimonio culturale nazionale. In virtù di tali previsioni, gli istituti culturali pubblici, ivi inclusi quelli statali, possono richiedere il pagamento di tariffe superiori ai costi marginali per generare ricavi rispetto all'investimento pubblico richiesto” si conclude nell’Allegato. In sostanza per tali ragione viene richiesto un rimborso delle spese sostenute dall'amministrazione concedente per stampe fotografiche, fotocopie, immagini digitali, scansioni, fotocolor, microfilm. Un esempio? Due stampe fotografiche a colori (30 x 40) richieste per motivi di studio prevedono una tariffa di 18 €. Una novità che non piace alla comunità scientifica.
Le contestazioni
Per quanto esigui i costi, non sono mancate le reazioni di studiosi, associazioni scientifiche e professionali già coinvolte per un anno nella redazione delle Linee guida per l'acquisizione, la circolazione il riuso delle riproduzioni dei culturali in ambiente digitale emanate dal MiC a giugno 2022. La lettera è firmata da esponenti di società scientifiche e consulte universitarie, da esponenti e presidenti di diverse associazione. Qualche nome? Paola Barbera, presidente dell'Associazione Italiana di Storia dell’Architettura (Aistarch), Giacomo Manzoli, presidente della Consulta Universitaria del Cinema, Federico Valacchi, presidente dell'Associazione Italiana Docenti Universitari di Scienze Archivistiche (Aidusa), Rosa Maiello, presidente dell'Associazione Italiana Biblioteche (Aib), Angela Abbadessa, presidente della Confederazione Italiana Archeologi (Cia), Micaela Procaccia, presidente dell'Associazione Nazionale Archivistica Italiana (ANAI), Michele Lanzinger, presidente dell'International Council on Museums (Icom) insieme all’Associazioni di giovani ricercatori, alle associazioni di professionisti e di istituti del patrimonio culturale come MAB, Musei Archivi Biblioteche, ed esponenti di Ana e Aicrab, chiedono di aprire un confronto per rendere virtuosa la norma, coordinandola con le normative vigenti, e concretamente applicabile. «Duole constatare che il mancato coinvolgimento delle comunità di riferimento – è scritto nella lettera - rappresentate dalle associazioni degli studiosi, dei professionisti e degli utenti di archivi, biblioteche e musei abbia portato a delineare un quadro operativo di difficile attuazione per gli uffici del Ministero e non coerente con le direttive europee e con gli orientamenti scientifici internazionali in materia di promozione dell'accesso aperto, di riuso di fonti e dati della ricerca, di valorizzazione del patrimonio culturale. Auspichiamo quindi l'apertura di un confronto che, coinvolgendo le parti interessate, giunga a individuare i correttivi che possano rendere la norma virtuosa, coordinata con le normative vigenti e concretamente applicabile» scrivono gli studiosi.
In pratica viene chiesto che, nel rispetto dell'art. 108 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, le riproduzioni eseguite direttamente dall'utente non debbano essere oggetto di alcun rimborso spese, dato che non vi è alcun servizio erogato dall'istituto se non quello di porre il bene in consultazione secondo il suo dovere istituzionale. Di quali cifre parliamo? Ad esempio, per ottenere 40 pagine di fotocopie a colori in formato A4, uno studente, uno studioso e un cittadino debbano pagare 20 euro, oltre agli eventuali costi di spedizione. Addirittura il costo della copia digitalizzata (con stampa su file) delle stesse 40 pagine risulta raddoppiato (se a bassa risoluzione) o triplicato (se a media risoluzione).
Le pubblicazioni
“In questa classificazione degli usi commerciali - prosegue la lettera degli studiosi - viene inoltre fatta rientrare la pubblicazione di prodotti editoriali, segnando un netto passo indietro rispetto alle Linee guida per l'acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale, adottate dall'Istituto Centrale per la Digitalizzazione del Patrimonio Culturale del MiC nell'ambito del Piano nazionale per la digitalizzazione nel giugno 2022, che avevano avuto il merito di rendere gratuita la pubblicazione di immagini di beni culturali statali in qualsiasi prodotto editoriale, indipendentemente dalla tiratura, dal prezzo di copertina e dalla tipologia del prodotto editoriale, al fine di “agevolare in primis la divulgazione della ricerca scientifica e la valorizzazione del patrimonio culturale, come esplicitamente previsto dal Codice. In particolare, il nuovo decreto prevede una tariffazione (aggiuntiva ai costi del servizio di riproduzione) per tutti prodotti editoriali stampati in più di 1.000 copie e con un prezzo di copertina superiore a 50 euro tornando indietro nel tempo”. Per gli e-book poi bisognerà tenere il conto del numero dei download per conteggiare il corrispettivo dovuto all'istituto concedente.
La lettera conclude che: «sottoporre a controllo e concessione statale l’uso sociale delle riproduzioni del patrimonio pubblico, vale a dire la destinazione d’uso delle riproduzioni, costituisce una violazione delle libertà costituzionali di espressione, di ricerca, di apprendimento lungo l'arco di tutta la vita (artt. 21, 33, 34, 35) oltre che di diffusione della cultura (art. 9)» richiamandosi anche alla Convenzione di Faro (recepita con legge 1° ottobre 2020, n. 133) e al diritto al patrimonio culturale in quanto inerente al diritto di partecipare alla vita culturale.
Appare evidente che sarà difficile applicare in modo puntuale tale indirizzo per le riproduzioni non commerciali anche da parte delle stesse istituzioni concedenti i beni culturali (sarà necessario del personale dedicato per esplicare tale servizio?) e forse dei correttivi saranno necessari, come richiesto dalle diverse associazioni, al fine di rendere il decreto operativo.
I costi degli spazi
Infine, in epoca in cui le pellicole in tv e al cinema sono piene di immagini del bel Paese dal Colosseo alla Fontana di Trevi, dai sassi di Matera alle opere più note dei nostri musei, il Decreto ne condifica l’uso e il relativo costo. Sono diverse le variabili che determinano il costo della concessione degli spazi culturali legate a dimensioni, classi di pregio e uso individuale che possono avere diverse finalità: istituzionali; non lucrativo o non commerciale; lucrativo o commerciale (sfilate, convegni, concerti, mostre di terzi, servizi fotografici, ecc.); e connesso alla riproduzione delle immagini (riprese video, televisive e cinematografiche). Nel caso di scopo privato con fini commerciali, facciamo due esempi per dare un’idea dei canoni previsti, traendoli dal tariffario ministeriale: per la concessione in uso di uno spazio culturale da 51 a 350 mq, classe di pregio media, per una sfilata di moda della durata di 5 giorni il costo è di 60.000 euro, secondo i diversi coefficienti della tariffa applicata: (400 € x 2) x 15 x 5; e ancora nel caso di riprese video, televisive e cinematografiche per una concessione in uso del medesimo spazio, classe di pregio alta, serie TV per 10 giorni, la tariffa applicata - (400 € x 3,50) x 3,50 x 10) - porterà al costo di 49.000 €. E nei canoni previsti sono compresi anche quelli per le riprese all'aperto con un drone. Non manca proprio nulla, forse solo l’indicizzazione dei canoni all’inflazione.
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