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La sera di giovedì 8 agosto, appena la situazione politica è precipitata, il vicepremier M5S, Luigi Di Maio, ha avvertito che la crisi del governo Conte avrebbe impedito di togliere la concessione ad Autostrade per l’Italia (Aspi, ritenuta dai pentastellati responsabile del crollo del Ponte Morandi) come, invece, promesso dal giorno successivo alla tragedia di un anno fa. Ma è lecito supporre che sarebbe finita così così anche senza la crisi.
Innanzitutto, non risulta aperta alcuna procedura di revoca (tecnicamente decadenza) della concessione. Lo ha scritto la scorsa settimana Atlantia (capogruppo di Aspi) nella sua relazione all’ultimo bilancio semestrale, citando «autorevoli professionisti» secondo cui le tre lettere inviate ad Aspi dal ministero delle Infrastrutture (Mit) - gestito da Danilo Toninelli - per contestare gravi inadempimenti andrebbero qualificate come semplici «richieste di chiarimenti». Il Mit, interpellato dal Sole 24 Ore, non ha ribattuto.
La relazione cita le conclusioni della commissione giuridica nominata dal Mit per valutare le conseguenze di una procedura di revoca, che rischia di comportare un esborso «particolarmente elevato» per lo Stato, visti i tempi lunghi del processo sul crollo e le clausole “blindate” della convenzione di concessione. Di qui l’opportunità di una «soluzione negoziale». Peraltro, negli incidenti probatori sul crollo, il Mit ha deciso di non costituirsi parte offesa (anzi, ha concesso il patrocinio legale a uno dei suoi dirigenti indagati), il che gli ha impedito di inviare suoi periti assieme a quelli di accusa e difesa.
Di fronte a queste difficoltà, si potevano forse percorrere altre vie per muovere contestazioni e portare avanti la procedura di revoca se, come sbandierato continuamente dal mondo M5S, era questa la volontà.
Una possibilità, in particolare, sarebbe basata su una sentenza di primo grado in un caso di grave incidente imputabile anche alla mala gestio delle barriere di sicurezza: a gennaio il Tribunale di Avellino ha condannato anche i responsabili territoriali di Aspi per i 40 morti del bus precipitato dal viadotto Acqualonga dell’A16 il 28 luglio 2013.
Ci sono anche altri incidenti “minori” (ma comunque anche mortali, che fanno venire d ubbi soprattutto su guard-rail e new jersey) e i ritardi nell’adeguare le gallerie lunghe alle norme di sicurezza europee e le opere strategiche all’obbligo di verifica del rischio sismico. Tutto noto al Mit. Il quale, però, non ha ritenuto di muoversi nè di spiegare perché non lo ha fatto.
Né Toninelli, dopo aver fortemente voluto nel decreto Genova la costituzione dell’Ansfisa (la nuova agenzia che si dovrebbe occupare della sicurezza di strade e ferrovie anche sugli aspetti strutturali) ha poi seguito il progetto: l’agenzia non è ancora operativa, ancora adesso che i termini per avviarla sono scaduti. Non ha saputo governare i conflitti tra dirigenti ministeriali? O, dopo i ripetuti annunci di revoca della concessione, ha preferito tenere un basso profilo verso Aspi, che sarebbe stato uno dei primi bersagli della nuova agenzia?
Si può ipotizzare che in tutto questo un ruolo lo abbia avuto anche il coinvolgimento di Atlantia nel salvataggio Alitalia. Un coinvolgimento spiegato ufficialmente con un’iniziativa autonoma (mai comunque sconfessata a livello politico) di Mediobanca in qualità di advisor delle Fs, cui il Governo ha affidato il ruolo di suo braccio per salvare la compagnia aerea. I tempi coincidono: a marzo risalgono sia i primi contatti tra top manager per studiare l’operazione sia la nomina della commissione ministeriale che ha poi consigliato prudenza sulla revoca.
Nel sostanziale silenzio della Lega, non ostile ad Atlantia, i ministri M5S hanno smentito fino all’ultimo. Ora resta da vedere se la crisi influenzerà anche l’operazione-Alitalia: Atlantia vorrà ancora impegnarsi? Ormai,
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