Cassazione

Condannato il sindaco che fa «giustiziare» la mucca dal finanziere per fare cassa

Il primo cittadino aveva detto che la bestia era pericolosa, poi l’aveva venduta al mattatoio per mettere nelle bisognose casse comunali circa 1300 euro. Il tiratore scelto della Guardia di finanza aveva usato la carabina per «senso civico»

di Patrizia Maciocchi

(Dudarev Mikhail - stock.adobe.com)

2' di lettura

Condannato per uccisione di animali il sindaco che fa “giustiziare” una mucca da un tiratore scelto della Guardia di Finanza, per vendere la carne e rimpinguare così le casse comunali. Al finanziere il primo cittadino aveva detto che la bestia era pericolosa per la popolazione, a quel punto il militare si era messo a disposizione «per senso civico» e aveva freddato il bovino con un colpo alla testa, pur in assenza di qualunque autorizzazione della Asl competente. La Cassazione (sentenza 3758) conferma la condanna del sindaco per il reato previsto dall’articolo 544-bis del Codice penale, che scatta quando l’animale viene ucciso con crudeltà o, comunque senza necessità, e dunque in assenza di una minaccia concreta a attuale. Per i giudici è questo il caso. Non c’erano stati testimoni in grado di poter incastrare la povera mucca alle sue responsabilità, mentre tutto deponeva contro il ricorrente, quanto allo scopo dell’esecuzione. La Suprema corte ricostruisce il fattaccio. Il sindaco aveva cercato con urgenza il tiratore scelto e lo aveva informato del fatto che in campagna vagavano liberi tre bovini uno dei quali, quello senza marca auricolare, era estremamente pericoloso, per cui era necessario abbatterlo.

Esecuzione e incasso

Ricevute le coordinate il militare si era messo a disposizione «per senso civico». Il finanziere, «si recava quindi sul posto e, individuato il bovino, gli sparava un colpo di fucile alla testa, uccidendolo, al che il sindaco lo ringraziava e telefonava al mattatoio per richiedere un mezzo di trasporto per l’animale». Il sindaco era poi passato all’incasso, per contribuire all’equilibrio finanziario dell’ente locale. «Dopo circa 15 giorni, il mattatoio vendeva la carne della mucca abbattuta e il ricavato veniva versato da....nelle casse comunali». Nel corso del dibattimento i giudici di merito avevano sentito anche il veterinario che, contrariamente alla prassi, aveva visitato l’animale dopo la morte, anziché prima e dato il suo via libera alla vendita, con un certificato di macellazione d’urgenza, escludendo con un test i virus della tubercolosi e della “mucca pazza”.

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I testimoni a discarico della mucca

Un iter irregolare, condizionato ancora una volta dall’informazione sulla pericolosità degli animali vaganti, che aveva indotto il veterinario a confermare che, in caso di pericolo, si potevano abbattere i bovini senza il preventivo stordimento. In realtà nessuno dei 300 abitanti del piccolo comune era stato in grado di identificare le presunte vittime di aggressione della mucca, che pascolava in un bosco molto lontano dal paese. Al contrario, il presidente dell’Università agraria della zona aveva categoricamente negato episodi di aggressione da parte di bovini pericolosi. Non giova alla causa del ricorrente neppure sottolineare che la soluzione del problema degli animali vaganti era un punto del suo programma elettorale, anzi...«richiamo che non solo non assume alcuna valenza esimente nell’ottica del presente giudizio - scrivono i giudici - ma che, per certi versi rafforza il giudizio sulla sussistenza del dolo, nel senso che evoca la natura strumentale dell’uccisione dell’animale». La Cassazione, con l’occasione precisa comunque che, anche nell’ipotesi di animali vaganti, che potrebbero costituire un rischio per la circolazione, vanno adottate misure alternative all’abbattimento. Nessuna scusante invece quando la mucca viene sacrificata sull’altare del bilancio.

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