Condominio, nessun regolamento può vietare di tenere animali in casa
Per il nuovo articolo 1138 del Codice civile protezione classificata tra i più generali diritti inviolabili, accertati dall’articolo 2 della Costituzione
di Augusto Cirla
I punti chiave
- Aiuole, ok al divieto di accesso: tutela del decoro architettonico
- L’abbaiare continuo del cane può diventare anche un reato
- Il magistrato può limitare il numero degli animali in casa
- Quali controversie sono affidate alla decisione del Giudice di pace
- Vincoli e aree d’intervento dell’accordo contrattuale
6' di lettura
L'assemblea dell'edificio condominiale in cui abito ha recentemente deliberato una serie di regole che di fatto rendono difficile la detenzione di animali nel proprio appartamento: divieto di usare l'ascensore con animali, di farli entrare nel giardino comune e di limitare il numero massimo di animali per ogni appartamento. È valida simile decisione?
Parliamo di animali domestici in condominio e della loro gestione. I regolamenti condominiali possono contenere norme di godimento e di utilizzo delle proprietà esclusive idonee a porre limitazioni ai diritti dei relativi proprietari. Va chiarito che il nuovo articolo 1138 del Cc dispone che il regolamento non può vietare il possesso o la semplice detenzione di animali domestici in casa o comunque all’interno del condominio. Il divieto può essere contenuto solamente in un regolamento contrattuale perché questo, essendo accettato da tutti, può contenere limitazioni ai diritti d’ognuno sulle parti di proprietà comune ed esclusiva.
È stata così sottratto in radice all’autonomia privata delle parti la possibilità di diversamente disciplinare la presenza di animali in condominio, ammettendone magari alcuni ed escludendone invece altri.
Il nuovo disposto dell'articolo 1138 del Codice civile è il frutto dell’evoluzione della considerazione del rapporto che deve esistere tra le persone e gli animali, addirittura assurto, questo, a espressione dei più generali diritti inviolabili di cui all’articolo 2 della Costituzione. Il termine animali «da compagnia», usato nella precedente versione dell’articolo 1138 Codice civile, è stato sostituito con quello di animali “domestici” dai confini più incerti, estendendo in tal modo la definizione a un più ampio genus di animale di affezione. Non è semplice per gli animali stare in condominio, ma tutto dipende dal rispetto che i loro padroni hanno delle più elementari regole che governano il vivere nella collettività condominiale.
Resta la facoltà all’assemblea disciplinare l’uso degli spazi o dei servizi comuni da parte dei proprietari di animali, nonché il comportamento che essi devono tenere all’interno del complesso condominiale: ciò sul generale presupposto che il diritto di ciascun condomino di usare e di godere a suo piacimento dei beni comuni trova limite nel pari diritto di uso e di godimento degli altri. Il lasciare libero un animale o custodirlo senza le debite cautele, oppure affidarlo a persona inesperta, costruisce un reato penalmente sanzionato (articolo 672 del Codice penale).
Quanto alla possibilità, ad esempio, di far uso dell’ascensore con gli animali, l’inibire a un condomino di usare l’ascensore con il proprio cane può trovare legittime motivazioni solo di ordine igienico sanitario, da valutarsi a seconda della concreta fattispecie che si può presentare. Ugualmente per la limitazione al numero degli animali che il condomino può detenere nella propria unità immobiliare, superato il quale appare anche legittimo l’intervento del giudice, con il conseguente allontanamento degli animali in esubero e il loro affido ad enti specializzati (Cassazione 1823/2023).
Fermo il rispetto delle elementari norme di igiene, la rilevanza anche ai fini penali della condotta produttiva di rumori, censurati come fonte di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, richiede l’incidenza sulla tranquillità pubblica in quanto l’interesse tutelato dal legislatore è la pubblica quiete. I rumori provocati dall’abbaiare di un cane devono avere una tale diffusione da costituire l’evento un disturbo idoneo ad essere sentito da un numero indeterminato di persone: se invece ad infastidirsi è un solo condomino non c’è né reato e né illecito civile. Non vanno sottovalutati i rischi in cui incorre il custode dell’animale, qualora questo diventi fonte di immissioni di rumori o di odori tali da cagionare, per la loro frequenza e intensità, malessere e insofferenza anche a persone di normale sopportazione. Anche il lasciare solo in casa il cane per l’intera giornata può configurare il reato di abbandono di animale (articolo 672 Codice penale).
Aiuole, ok al divieto di accesso: tutela del decoro architettonico
Nella residenza condominiale in cui abito ci sono aiuole con piante di piccolo fusto dove recentemente è stato apposto un cartello di divieto di accesso ai cani. Ho avanzato le mie rimostranze all'amministratore perché ritengo che simile decisione limiti il diritto di ogni condomino di usare un bene comune, ovviamente sotto la sua responsabilità. Posso impugnare questa delibera in quanto detentore di un cane?
Il divieto posto dall'assemblea è senz'altro legittimo, se si considera che la tipica funzionalità di queste è quella di migliorare il decoro architettonico dell’intero compendio condominiale e non certo quello di servire come spazio liberatorio per cani e/o animali in genere appartenenti ai condomini. Se da un lato, infatti, è vero che tutti i condomini hanno diritto di utilizzare gli spazi comuni anche facendone un uso più intenso, è pacifico, dall’altro, che in ogni caso essi devono riservare un pari uso agli altri condomini: il tutto deve comunque avvenire nel rispetto della tipica destinazione del bene comune.
L'abbaiare continuo del cane può diventare anche un reato
Il cane del mio vicino di casa abbaia ogni volta qualche persona passa davanti all'ingresso dell'appartamento dei suoi padroni. Ciò avviene non solo durante le ore diurne, ma anche nel mezzo della notte in occasione del rientro a casa dei vari condomini, turbando non solo al mio diritto di riposare, ma anche di godere di quella tranquillità che ognuno auspica di avere quando è a casa sua. Come posso tutelarmi?
È fuori dubbio che il continuo abbaiare di un cane integra gli estremi di una fastidiosa immissione di rumore a cui la legge, con l'articolo 844 Codice civile, consente di porre rimedio, qualora queste immissioni superano i limiti di tollerabilità, avuto riguardo anche alle condizioni dei luoghi. Il ripetersi costante di un rumore può provocare un serio disagio alla psiche di ogni persona e provocare anche un danno risarcibile nella misura proporzionale alla prova che riesce a fornire il danneggiato. Spetta naturalmente al giudice, a cui quest'ultimo si può rivolgere, assumere i provvedimenti più opportuni, non da ultimo quello di ordinare l'allontanamento dell'animale e il suo affidamento a specifici centri di raccolta, oltre che condannare al risarcimento del danno colui che aveva l’obbligo di cura e di sorvegliare sull'animale stesso. Sotto il profilo penale, l’articolo 659 del Codice penale sanziona, tra l’altro, chi non impedisce strepiti di animali e disturba le occupazioni o il riposo delle persone, soggiacendo in tal caso alla pena, alternativamente, dell’arresto fino a tre mesi o dell’ammenda fino a 309 euro.
Il magistrato può limitare il numero degli animali in casa
Nell'appartamento in cui abito, peraltro abbastanza ampio, detengo quattro cani a cui sono molto affezionato. I condomini del palazzo si lamentano e mi impongono di ridurre il numero perché li sentono abbaiare e mi dicono che in difetto ricorreranno al giudice. È possibile che mi si ordini di privarmi di alcuni miei cani?
Una volta accertata l’intollerabilità delle immissioni provocate dall’abbaiare di cani, il giudice può disporre il ripristino della quiete condominiale anche attraverso l'allontanamento degli animali molesti dall'edificio, con conseguente condanna ad allontanare in via definitiva dall'immobile alcuni degli animali, da scegliersi a cura del loro proprietario o, in mancanza, secondo le modalità disposte dal giudice stesso.
Quali controversie affidate alla decisione del Giudice di pace
Abito in un condominio a fianco del quale c’è una villetta monofamiliare con un grande giardino dove la proprietaria gestisce un allevamento di cani il cui abbaiare ovviamente disturba la quiete dei condomini limitrofi. Su consiglio del mio avvocato mi sono rivolta al Giudice di pace del luogo che mi avevano detto essere competente a decidere in tema di immissioni di odori e rumori. Ebbene, la mia domanda è stata respinta sul presupposto che doveva essere proposta al Tribunale. Mi spiegate?
Nella villetta monofamiliare in questione la proprietaria, benché ivi vi abitasse, in realtà svolgeva anche un’attività commerciale rappresentata dall’allevamento di cani. In tema di immissioni, la competenza del Giudice di pace è tassativamente circoscritta alle cause tra proprietari e detentori di immobili a uso abitativo, esulando da essa le controversie relative ad immissioni provenienti da immobili con destinazione commerciale. Se l’immobile, seppure a prevalente destinazione abitativa, è utilizzato anche per scopi diversi, ai fini della determinazione della competenza vale non già la destinazione prevalente, ma la fonte delle immissioni denunciate.
Vincoli e aree d'intervento dell'accordo contrattuale
Il regolamento del condominio in cui abito è di natura contrattuale e prevede espressamente il divieto di detenere animali nelle abitazioni. Recentemente una di esse è stata concessa in locazione ad una persona che detiene due cani ed un gatto alla quale l'amministratore ha fatto presente il divieto contenuto nel regolamento. Ha ragione?
Il divieto di cui all'articolo 1138 del Codice civile costituisce un precetto generale valevole per qualsiasi regolamento, a prescindere dalla fonte della sua adozione. La norma in questione non può limitare la propria efficacia ai soli regolamenti di natura assembleare. D'altro canto, se è pur vero che l'intero dettato dell'articolo 1138 del Codice civile sembra innegabilmente riferirsi al solo regolamento cosiddetto assembleare, la rubrica della norma non riporta alcuna indicazione circa la natura del regolamento, talché la nullità colpisce comunque la clausola contraria pur se contenuta in un regolamento cosiddetto contrattuale (Tribunale di Lecco, sentenza 2549/2022). Anche il regolamento contrattuale non può dunque vietare la detenzione di animali in condominio, ma limiti e divieti regolamentari devono essere ben chiari e precisi.
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