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Condoni e uso sregolato del contante, scelte dannose per lo Stato. Ecco perché

Sono segnali che ampliano lo spettro delle opzioni percepite come tollerabili. Perché ci fanno passare dal gioco del “dare” a quello del “prendere”. E, se si può, allora si prende

di Vittorio Pelligra

(Adobe Stock)

6' di lettura

Siamo una specie docile, noi umani. Non si direbbe, a considerare le tante atrocità e ingiustizie di cui, nella storia, ci siamo resi responsabili. Eppure, se ci confrontiamo coi nostri più vicini antenati, gli scimpanzé, scopriamo che la nostra aggressività è infinitamente minore a quella che manifestano i nostri cugini primati nel contesto della loro vita sociale.

Il passaggio evolutivo da uno stadio di aggressività elevato a uno di mansuetudine è frutto, secondo alcune interpretazioni, di un vero e proprio processo di “auto-addomesticamento” della nostra specie, attraverso il quale siamo riusciti ad auto-selezionare i tratti più gentili del nostro repertorio comportamentale e a portare all'estinzione quelli di natura più antisociale (Wrangham R. 2019.

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Il Paradosso della Bontà. Bollati Boringhieri). Questa mansuetudine ci porta non solo a essere, generalmente, tolleranti verso gli altri, attivamente disposti al soccorso e orientati alla reciprocità, ma, allo stesso modo, ci fa astenere dal mettere in atto comportamenti che sarebbero vantaggiosi per noi, sia pure a scapito di qualcun altro.

Non esiste, cioè, solo un altruismo attivo, ma anche uno passivo. Quando vediamo tanta gente passare davanti a un mendicante che, seduto per terra, chiede l'elemosina, può capitare di essere negativamente colpiti dall'indifferenza di quei passanti distratti. Più raramente notiamo, però, che, in teoria, quelle persone, non solo avrebbero potuto dare qualche spicciolo al povero sulla strada, ma avrebbero anche potuto prendergli qualcosa, magari approfittando delle sue precarie condizioni fisiche, per poi scappare.

Scene come questa non si verificano di frequente ed è per questo che, in genere, i casi di altruismo passivo che ci portano a rinunciare a vantaggi personali quando questi vanno a danno di qualcun altro passano praticamente inosservati. Ma l'altruismo passivo è solo la versione simmetrica di quello attivo o c'è qualcosa di più?

Il gioco del dittatore: cos’è e come funziona
Gli economisti comportamentali da un po' di anni studiano situazioni simili usando un protocollo molto semplice che va sotto il nome di “gioco del dittatore” (dictator game). Immaginate di convocare cento persone e di dividerle in due stanze separate; ai cinquanta della stanza A, date dieci euro ciascuno dicendo che possono tenerseli tutti, oppure, se vogliono, possono dividerli, in qualunque proporzione, con uno degli altri partecipanti della stanza B, il tutto in maniera assolutamente anonima.

Una volta fatta la scelta, ognuno dei partecipanti potrà andar via portandosi dietro gli euro effettivamente ottenuti. Cosa vi aspettereste? Quanto inviereste nella stanza B? Se assumiamo che ogni partecipante sia mosso solamente dal suo interesse materiale, potremmo prevedere che gli occupanti della stanza A – i dittatori – decideranno di tenere per sé tutti gli euro e, così, di far andare a casa a mani vuote gli anonimi partecipanti della stanza B.

Ciò che osserviamo, invece, è, di solito, molto diverso. Centinaia e centinaia di studi condotti in laboratorio e sul campo, in tutto il mondo e in differenti culture, mostrano che la scelta di non dare niente non descrive affatto il comportamento della maggioranza dei soggetti. In genere, infatti, l'offerta media si aggira intorno a un terzo della dotazione: alcuni danno zero, molti danno il cinquanta per cento, in alcuni casi si dà tutto.

Questo comportamento è, naturalmente, molto variabile. Dipende, tra le altre cose, da chi pensiamo ci sia nella stanza B, chi sia il ricevente, dipende dall'età del dittatore, dal genere, dalla sua matrice culturale e dal fatto che abbia studiato, o no, economia. Quest'ultimo fatto è estremamente interessante, ma ce ne occuperemo un'altra volta. Quello su cui, invece, mi vorrei soffermare oggi riguarda la stabilità di questo comportamento.

Siamo una specie mansueta, sociale, cooperativa e questo ci rende moderatamente altruisti anche con gli estranei. Eppure, queste tendenze possono essere estremamente fragili, vulnerabili a manipolazioni e, soprattutto, reversibili. In economia, generalmente, le scelte vengono considerate come manifestazioni comportamentale di una struttura interna di preferenze stabili. Scelgo le mele invece che le pere, perché preferisco le mele più delle pere.

Le preferenze descrivono i nostri gusti, i valori, le attitudini e gli orientamenti; dicono ciò che noi siamo e quello che vogliamo. Se questo è vero, allora, ciò che osserviamo nel gioco del dittatore, mette in luce preferenze che non sono puramente individualistiche, ma anche, in parte, stabilmente orientate agli altri. In realtà, però, questa interpretazione lineare nasconde delle complessità dei nostri processi decisionali, che solo recentemente hanno iniziato ad emergere nella loro evidenza e che portano con sé implicazioni profonde.

Altruismo attivo, altruismo passivo. Proviamo a immaginare, per un istante, una versione del gioco nella quale, oltre a poter dare qualcosa della nostra dotazione, ci sia anche la possibilità di togliere qualcosa al soggetto con cui siamo abbinati. In uno schema improntato alla simmetrica, in una situazione del genere, se decidiamo di dare siamo altruisti attivi, se decidiamo, invece, di non togliere siamo altruisti passivi.

Siccome abbiamo visto già che la tendenza generale è quella di dare somme positive, dovremmo allora aspettarci una analoga tendenza a non togliere. John List, economista dell'Università di Chicago, ha considerato questa possibilità in una ricerca pubblicata qualche tempo fa sul prestigioso Journal of Political Economy (On the Interpretation of Giving in Dictator Games, 2007).

Alla versione standard del gioco del dittatore, nella quale era possibile dare da zero a cinque dollari, List, ne ha affiancate altre due: la prima che prevedeva la possibilità di dare da zero a cinque, ma anche di togliere uno; e la seconda nella quale si poteva dare da zero a cinque, ma anche togliere, questa volta, fino a cinque dollari.

Nella versione standard del gioco, come ci si poteva aspettare, si osserva che meno del 30% dei partecipanti sceglie di non dar nulla, mentre il 25% sceglie di dare la metà della loro dotazione e tutti gli altri distribuiscono somme positive comprese tra questi due valori. Fin qui, tutto bene. Le sorprese, però, arrivano con la prima variante. In questo caso infatti, per qualche ragione, il numero di quelli che non danno nulla cresce fino al 45%, quelli che danno la metà, invece, si riducono a meno del 10%, ma soprattutto, compaiono quelli che prendono.

Circa il 22% dei partecipanti non solo non danno nulla, ma scelgono di sottrarre un dollaro al partecipante della stanza B con il quale sono anonimamente abbinati. I risultati della terza versione del gioco sono ancora più estremi. Ora che si possono dare, ma anche togliere, fino a cinque dollari, la scelta preferita dalla maggioranza dei dittatori diventa quella di prendere tutto, seguita da quella di non dare nulla. Cosa sta succedendo? Quando si può dare come minimo zero, tanti danno fino a metà della loro dotazione, quando, invece, si può anche togliere, quelli che prima davano somme positive iniziano a non dar nulla e perfino a togliere. Come facciamo a spiegare questo comportamento, a prima vista, così bizzarro?

La questione riguarda il fatto che le nostre decisioni non vengono prese nel vuoto - ne abbiamo parlato a proposito del “nudging”. Le scelte, piuttosto, emergono dall'interazione tra le nostre preferenze - tutt'altro che date, ma, invece, piuttosto plastiche e malleabili – e le architetture decisionali all'interno delle quali operiamo. Modificare lo spazio delle azioni a disposizione non è un'operazione neutrale, come si potrebbe immaginare a prima vista; altera i comportamenti, perché l'insieme delle possibilità che ci vengono esogenamente date, agisce come un segnale di quelle che sono le condotte possibili e accettabili.

Lo spazio delle scelte, in altri termini, esprime le aspettative che si hanno sul nostro operato. Se mi danno la possibilità di togliere qualcosa a qualcuno, mi aspetto che questa azione non sia poi così biasimevole come pensavo, magari è anche socialmente accettabile, per cui, visto che mi fa guadagnare cinque dollari in più, perché non farlo?!? Mentre nella versione del gioco nella quale si può dare zero oppure cinque il messaggio è chiaro, nella versione dove si può anche togliere, il significato diventa ambiguo: “che cosa si aspettano che faccia?”.

Siamo circondati da architetture e da istituzioni che mandano messaggi ambigui. Sulla porta del supermercato qualche giorno fa ho visto un adesivo con la scritta “ingresso”; peccato che lo stesso adesivo aveva la forma del segnale stradale che indica il senso vietato. Entrare o non entrare? “Cosa si aspettano che faccia?“. In genere a mandare questi segnali sono le istituzioni. Sono quei complessi di regole che ci diamo per aiutarci ad organizzare e coordinare le scelte collettive, la nostra vita in comune. Ma non sempre i segnali che vengono inviati sono univoci, chiari e orientati verso l'obiettivo dichiarato.

Il tema della fedeltà fiscale, per esempio, rappresenta, in questo senso, un caso importante e illuminante, oltre che di stretta attualità. Perché un cittadino dovrebbe pagare le tasse, nonostante l'architettura decisionale dove si trova ad operare gli dice di evitarlo, se si può? Perché dovrebbe decidere di “dare”, se contemporaneamente gli si dice che anche “prendere” rientra nel novero dei comportamenti possibili e magari anche accettabili

La sfida per le istituzioni, in questo caso, e per i decisori politici diventa quella di progettare e proporre il gioco sempre e solo nella versione “dare”, perché, se consideriamo anche quella “prendere”, allora finiamo nei guai, perfino peggiori di quelli in cui già ci troviamo. Ecco perché, allora, i condoni, l'uso sregolato del contante, la giustificazione dell'evasione “difensiva”, sono tutte scelte, tra le molte altre, controproducenti per le finanze pubbliche; non per ragioni moralistiche o ideologiche, ma semplicemente perché sono segnali che ampliano lo spettro delle opzioni percepite come tollerabili. Perché ci fanno passare dal gioco del “dare” a quello del “prendere”. E, se si può, allora si prende.

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