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Il Centro studi di Confindustria nel sottolineare un andamento del Pil italiano nel 2023 in forte rallentamento rispetto al 2022, quando era cresciuto del +3,7% nello scenario base e al netto degli effetti delle misure contenute nella nuova legge di bilancio in arrivo al Senato, prevede un incremento annuo del +0,7%, già interamente acquisito.Il che comporterà per il Csc una bassa crescita nel 2024 con il Pil a +0,5% contro una stima di marzo dell’1,2%. A pesare soprattutto l’effetto negativo dei tassi di interesse elevati sulle imprese e sulle famiglie, e a una dinamica negativa, nell’anno in corso, del commercio internazionale.
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Produzione industriale in calco, frenano gli energivori
Nel 2022 la dinamica dell’attività industriale delle imprese italiane era aumentata di +0,4%, mostrando segnali di indebolimento nella seconda metà dell’anno. Nel biennio di previsione, la produzione è attesa a diminuire di -2,3% quest’anno e rimbalzare molto parzialmente, di +0,8%, nel 2024. A soffrire sono principalmente i cosiddetti settori energy intensive (come carta, chimica, metalli non metalliferi e metallurgia), e quelli che rientrano nella filiera delle costruzioni (legno, prodotti in metallo, ma anche alcuni dei già citati energivori).I livelli produttivi di questi settori si collocano ormai tutti sotto i valori medi del 2019. La contrazione di questi settori, oltre che nel 2022, è proseguita anche nella prima parte di quest’anno: in media a gennaio -agosto, rispetto allo stesso periodo del 2022, la chimica è in calo di -9,7%, la carta di -11,6%, la metallurgia di -7,1% e i minerali non metalliferi di -10,0%. Emerge, al contrario, una maggiore dinamicità per i comparti ad alta tecnologia come, ad esempio, la farmaceutica e le attività di computer ed elettronica e delle apparecchiature elettriche.
Consumi delle famiglie deboli ma resilienti
La spesa delle famiglie resterà sostanzialmente ferma nella seconda metà del 2023. Ciò comporterà una crescita in media d’anno pari al valore già acquisito di +1,2%. I consumi delle famiglie torneranno ad aumentare nel 2024, con più slancio nella seconda metà dell’anno, sulla scia della discesa dell’inflazione e, quindi, del recupero del potere d’acquisto, oltre che sospinti da un miglioramento delle condizioni economiche e da una dinamica salariale più sostenuta, e registreranno in media d’anno una crescita di +0,6%.
Inflazione in frenata
La dinamica dei prezzi al consumo in Italia sta proseguendo in graduale rallentamento da dicembre 2022, scendendo al +5,3% annuo a settembre 2023. Un valore ancora alto rispetto all’obiettivo Bce del 2,0% (Grafico 18), ma decisamente più favorevole rispetto ai record toccati nel 2022 (+11,8% a ottobre e novembre). La variazione acquisita per la media del 2023 è pari al +5,7%. Nello scenario Csc, che incorpora un prezzo del gas in moderato aumento rispetto ai minimi di luglio, l’inflazione continuerà a frenare (soprattutto nei mesi finali del 2023, grazie a un favorevole “effetto base”), tornando in linea con l’obiettivo del +2,0% a fine anno. In media, si attesterà al +5,8% (da +8,1% nel 2022), con una revisione al ribasso di -0,5 punti rispetto allo scenario Csc di marzo. Nel 2024, terminata ormai la lunga frenata, l’inflazione è attesa rimanere intorno ai valori di fine 2023, assestandosi al +2,1% in media.
Credito in forte riduzione
I prestiti bancari alle imprese in Italia si stanno rapidamente riducendo (-6,2% annuo ad agosto 2023), dopo aver toccato alti ritmi di crescita fino a metà del 2022 (picco a +4,8% in agosto). Un mutamento brusco, come raramente osservato nelle serie storiche del credito, dovuto soprattutto al rapido rialzo dei tassi di interesse deciso dalla Bce in questo periodo. Nel 2023 la liquidità delle imprese, misurata dal valore dei depositi in banca, si è assottigliata rapidamente (-5,6% annuo in agosto), tornando sul trend pre-pandemia. L’indicatore Istat della liquidità disponibile in azienda, rispetto alle esigenze operative, ha tenuto finora, poco sotto i valori pre-pandemia, ma solo perché si è ridotto il fabbisogno di risorse liquide. La situazione nei prossimi mesi potrebbe presto trasformarsi in carenza di liquidità, se il credito continua a ridursi. Le aziende che hanno più esigenza di credito per liquidità sono le produttrici di beni di consumo.
Preoccupa il calo degli investimenti, Pnrr cruciale
Gli investimenti fissi lordi sono attesi crescere moderatamente nel 2023 (+0,5%), al di sotto dell’acquisito al 2° trimestre (+0,8%). La dinamica è attesa in ulteriore peggioramento nel 2024: -0,1% la stima del Centro studi, in forte ridimensionamento rispetto agli anni scorsi (crescevano del 9,7% nel 2022 e invece saranno fermi nel 2024), per effetto soprattutto di una perdurante intonazione restrittiva della politica monetaria, che sta avendo un impatto più profondo dell’atteso e continuerà ad averlo per un periodo più lungo, e anche del minor ammontare di investimenti realizzati con il Pnrr rispetto a quanto programmato nel Def di aprile scorso. In prospettiva, i segnali provenienti dai dati qualitativi più recenti prefigurano un ulteriore calo degli investimenti nel breve termine. Il sentiment delle imprese si è affievolito, con l’indice di fiducia che è diminuito nel 3° trimestre a 106,8 da 108,9.Al rialzo, agirà sugli investimenti l’utilizzo delle risorse del Pnrr e il recupero dei profitti, documentato almeno fino al 2° trimestre 2023: in questo scenario di previsione si assume un utilizzo solo parziale delle risorse Pnrr rispetto a quanto programmato per il 2023 e 2024 nel Def di aprile scorso e quindi la spinta agli investimenti per quanto cospicua, sarà nettamente inferiore nel biennio rispetto a quanto stimato avendo come base le risorse programmate nel Def 2023.Per quanto riguarda l’effetto sulla crescita, Il Csc stima che con un Pnrr pienamente attuato, il Pil italiano nel 2026 (cumulato in 6 anni, dal 2021) sarebbe più elevato del +2,8% e gli investimenti più elevati dell’11,1 per cento.
Il costo del lavoro cresce anche nel 2023 e 2024
L’industria italiana è penalizzata e perde produttività. Il Clup manifatturiero in Italia è cresciuto del +4,8% nel 2022, più che in altre economie europee (+3,7% nell’industria tedesca, +2,5% in media nell’area euro). A fronte di una dinamica più contenuta del costo del lavoro per ora lavorata (+2,9% contro il +4,2% in Germania e il +3,9% medio nell’area), la competitività dell’industria italiana è stata penalizzata da un ampio calo della produttività (-1,8%). Tra gli altri grandi paesi dell’Eurozona, la produttività del lavoro è calata nel 2022 solo in Francia, mentre è cresciuta in media del +1,4% (+0,6% in Germania). Nel biennio 2023-2024, il rafforzamento della dinamica salariale nel settore privato, che sta avvenendo con ritardo rispetto alla dinamica inflattiva, per effetto del meccanismo di aggiustamento delle retribuzioni contrattuali, spingerà al rialzo il Clup nel manifatturiero italiano, dato anche il forte calo della produttività del lavoro previsto per quest’anno (già acquisito nel 1° semestre, per l’ampio labor hoarding effettuato dalle imprese) e un solo marginale recupero il prossimo.
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