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Confindustria, Bonomi: «Next Generation Eu occasione unica ma rischio di non sfruttarla è alto»

Secondo il documento di Viale dell’Astronomia la manifattura mondiale è ancora sotto lo scacco della pandemia, ma l’Italia mostra una contrazione dei tassi di crescita relativamente contenuta. Il presidente di Confindustria: «Preoccupano i ritardi nel concepire una strategia di sviluppo sostenibile e sostenuto».

di Celestina Dominelli

Carlo Bonomi: «Un grande patto per l’Italia che passa dall’Europa»

5' di lettura

La manifattura mondiale è «sotto lo scacco della pandemia», con un effetto generalizzato che non risparmia alcuna area, in cui l'Italia «resiste» e registra una contrazione dei tassi di crescita relativamente contenuta rispetto alle altre grandi economie europee. A scattare la fotografia aggiornata sull’impatto del Covid-19 è l’ultimo rapporto sugli “Scenari industriali” del Centro studi di Confindustria, “Innovazione e resilienza: i percorsi dell'industria italiana nel mondo che cambia” che pone l’accento sulla capacità del sistema Paese, nonostante il rallentamento produttivo, «che non costituisce un’anomalia nel confronto internazionale», di mostrare una significativa reattività allo shock pandemico.

Bonomi: l’Italia rischia di non sfruttare l’opportunità del Recovery

L’Italia, insomma, prova a resistere ma le ombre sono tante, come ha sottolineato il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi. «Il Piano Next Generation Eu rappresenta una opportunità senza precedenti per realizzare un programma massiccio di investimenti pubblici e privati, che rilanci la competitività del sistema produttivo italiano nella fase di ripresa post-pandemia», ha detto il numero uno che però ha lanciato l’allarme sul rischio «molto alto» che l’Italia «non riesca a sfruttare pienamente questa opportunità». Per minimizzarlo, ha aggiunto Bonomi, «sarebbe auspicabile che il piano fosse perseguito individuando pochi, grandi progetti su nodi strategici per lo sviluppo del Paese» e con una governance «unitaria» a livello nazionale.

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Manca visione di politica economica

Il presidente di Confindustria ha quindi rimarcato, sferzando il governo, che «manca una visione di politica economica e si procede per piccoli passi». Certo, ha riconosciuto, «il sistema industriale ha mostrato resilienza e capacità di resistenza dopo il lockdown e ha contribuito alla ripresa registrata nel terzo trimestre», ma «preoccupano i ritardi nel concepire una strategia di sviluppo sostenibile e sostenuto».

L’impatto della pandemia

Tornando al documento, illustrato dal direttore del Centro Studi Stefano Manzocchi, l'impatto della pandemia sui livelli di attività della manifattura italiana «è stato immediato e violento. Nei due mesi di lockdown (marzo e aprile) la produzione è diminuita mediamente di oltre il 40%, anche se con un profilo fortemente disomogeneo a livello settoriale (dal -92,8% della produzione di prodotti in pelle al -5,5% del farmaceutico). Il recupero dei livelli produttivi da maggio è stato pressoché istantaneo, così che nel giro di quattro mesi il livello di produzione è tornato intorno ai valori di gennaio con un incremento del 76% rispetto al minimo toccato in aprile”, indica il Csc. Ma «le prospettive per i mesi autunnali sono tornate negative, in linea con l'aumento dei contagi a livello globale e con l'introduzione di nuove misure restrittive».

La resilienza della manifattura italiana

Ad ogni modo, rimarca il rapporto, l’Italia è ormai “stabilmente” al settimo posto della graduatoria mondiale dei principali produttori manifatturieri, con una quota del 2,2%, davanti alla Francia (1,9%) e al Regno Unito (1,8). L’industria italiana, in particolare, sta affrontando la sfida della sostenibilità ambientale potendo contare su un «vantaggio strategico da first mover» rispetto a molti dei suoi partner internazionali, avendo «già da tempo introdotto un approccio 'responsabile' alla produzione e al consumo di risorse». Secondo le stime del Csc, la manifattura italiana si colloca al quarto posto tra le principali economie globali e al terzo nell'Ue per minor intensità di Co2 (in rapporto al valore aggiunto), su livelli equivalenti a quelli registrati dalla manifattura tedesca. Rispetto alla media Ue, l'intensità delle emissioni di Co2 della manifattura italiana è inferiore del 31%. La bassa impronta di carbonio nel confronto internazionale è spiegata soprattutto «da livelli di efficienza ambientale dei processi industriali tra i più elevati al mondo».

Patuanelli: sul piano per il Recovery siamo in fase avanzata

Il sistema produttivo italiano ha dunque tutte le carte in regola per ripartire dopo il rallentamento registrato per via del Covid-19, ma le imprese chiedono risposte certe dal governo. Così il ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, ha voluto rassicurare sull’impegno dell’esecutivo, rispondendo anche all’allarme lanciato dal presidente di Confindustria Bonomi. «Stiamo studiando, e siamo in uno stato avanzato, come utilizzare, non spendendo ma investendo le risorse del Recovery che non sono infinite»,ha spiegato il titolare del dicastero di Via Veneto ricordando le misure finora messe in campo dal governo, a cominciare dal piano Transizione 4.0 che avrà effetti dal 16 novembre al 30 giugno 2023 «assicurando così alle imprese una capacità di programmazione per le imprese che vogliono investire più ampiamente del solito, visto che prima le misure erano rinnovare di anno in anno».

Il ministro: danno maggiore senza le misure del Governo

Patuanelli ha poi ribadito che senza gli interventi predisposti dall’esecutivo, le conseguenze della pandemia sarebbero state peggiori. «La realtà ci mostra che, nonostante la potenza della seconda ondata, i sistemi hanno retto meglio anche per le cose che abbiamo fatto in questi mesi. Ritengo che senza alcuni degli interventi fatti dal governo il danno sarebbe stato maggiore». Tra le misure, il ministro ha citato «il necessario intervento per la tenuta occupazionale», tra cui il blocco dei licenziamenti e gli altri strumenti a sostegno delle imprese e dei lavoratori come i ristori e il meccanismo di liquidità. «Se non avessimo garantito posti e liquidità, avremmo visto molte più imprese in difficoltà», ha aggiunto evidenziando altresì che «probabilmente qualche errore è stato fatto, ma non c’era un libretto di istruzioni su come affrontare una crisi pandemica mondiale».

Gros-Pietro: imprese devono guardare all’insieme dei problemi

Una crisi che, ha spiegato Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo, ha prodotto effetti irreversibili a fronte dei quali, però, l’industria italiana può far valere i suoi punti di forza, come la disponibilità a fare impresa non rinvenibile allo stesso livello negli altri Paesi europei. Certo, ha spiegato il banchiere, occorrerà un cambio di passo perché le imprese «devono guardare all’insieme dei problemi. Non è più sufficiente che siano dane finanziariamente ed economicamente e che producano profitto. Non è più sufficiente se non contribuiscono a migliorare quelle situazioni come la soddisfazione sociale, la sicurezza e il rispetto per l’ambiente». Questo cambiamento, ha osservato ancora Gros-Pietro, «è necessario perché abbiamo toccato il limite dell’espansione dell’economia di mercato che può essere superato solo se il mercato saprà farsi carico delle esigenze sociali e ambientali, senza le quali il sistema può essere messo in discussione».

Schivardi: paese sembra reagire meglio rispetto alle crisi precedenti

Ci sono, però, sicuramente delle buone notizie che la crisi pandemica consegna al sistema italiano e a snocciolarle ci ha pensato Fabiano Schivardi, professore di Economia all’università romana Luiss Guido Carli. «Rispetto alle crisi precedenti il paese sembra reagire meglio per tre ordini di motivi: 1) le imprese e le banche sono arrivate alla cris in condizioni economico-finanziarie migliori; 2) la politica economica è stata più espansiva sia a livello nazionale che internazionale; 3) l’Unione Europea ha dato un segnale per un forte sostegno alla ripresa quando la pandemia sarà finita continuando a sostenere le aspettative di imprese e famiglie».

Marchesini: l’Italia può partecipare al cambiamento del mercato

L’Italia, quindi, ha le condizioni per partecipare al cambiamento del mercato generato dalla crisi perché dispone di una struttura industriale agile e veloce «che si sa adattare», ha sottolineato anche il vicepresidente per le filiere e le medie imprese di Confindustria, Maurizio Marchesini, e già occupa delle nicchie «che possono diventare importanti e interessanti se saranno sviluppate a livello globale». Ma tutto ciò non è sufficiente, ha aggiunto l’imprenditore che ha poi indicato un mix di azioni da mettere in campo: 1) assicurare la crescita dimensionale delle imprese e una maggiore capitalizzazione; 2) garantire l’internazionalizzazione delle aziende con un’ottica diversa rispetto al passato, anche favorendo joint venture con società estere «che portino le aziende italiane a entrare nel cuore delle catene di valore globali»; 3) spingere su formazione adeguata; 4) rendere possibili investimenti massicci in ricerca e sviluppo, ma anche nella digitalizzazione.

Marchesini ha quindi riconosciuto all’esecutivo il merito di aver rilanciato Industria 4.0 «che va però agganciato a Next Generation Eu» e si è detto ottimista sulla capacità del Paese di uscire da questa nuova crisi. «L’Italia ha sempre reagito molto bene e abbiamo delle bellissime imprese. Dobbiamo trovare il modo odi avviare anche il governo nazionale ed europeo verso soluzioni che incentivino le imprese e sono convinto che anche questa volta ce la faremo».

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