Congresso Usa, cosa rischia Trump tra impeachment e rimozione immediata
Il presidente uscente assicura una «transizione ordinata». Resta il dibattito sulle sue responsabilità morali. E i deputati democratici preparano un dossier
di Marco Valsania
5' di lettura
È stato un assalto senza precedenti al Congresso americano. L’irruzione d’una folla di sostenitori estremisti di Donald Trump, che si è conclusa con atti di vandalismo, violenza, quattro vittime e 52 arresti. Un dramma che ha temporaneamente visto i manifestanti occupare Camera e Senato forzando la loro evacuazione e frenando per alcune ore la certificazione dell’elezione di Joe Biden alla Casa Bianca. La sessione a camere congiunte è poi ripresa per completare i lavori. Ma l’eredità della violenza rimane al di là del sangue che ha macchiato i corridoi del Parlamento, dei vetri rotti e dell’invasione di una cruciale istituzione democratica.
Biden subentrerà solo il 20 gennaio
L’interrogativo immediato è che cosa accadrà adesso alla leadership del Paese. A cominciare da Donald Trump, che ha istigato senza mai denunciarla quella che è stata definita come «un’insurrezione» da parte di «terroristi domestici». Il presidente uscente, messo nell’angolo da gran parte dell’establishment repubblicano, nella mattinata di venerdì 7 gennaio ha diffuso una nota che assicura una «transizione ordinata», pur ribadendo di aver subito un furto con la mancata elezione. Resta il fatto che le sue azioni appaiono più imprevedibili e pericolose che mai da qui al 20 gennaio, quando Biden verrà inaugurato. E che questo stato di cose tiene in ansia l’elite politica del Paese. Perché Trump fino al 20 gennaio manterrà nei fatti tutti i grandi poteri della Presidenza americana.
Dimissioni dopo l’isolamento
Trump potrebbe essere spinto a dimettersi con la minaccia di totale isolamento e di una eventuale rimozione. È un’ipotesi nata dalla scoperta, da parte del New York Times, che è stato in realtà il vicepresidente Mike Pence ad autorizzare la mobilitazione della Guardia Nazionale a Washington per confrontare i dimostranti. Vale a dire che è già Pence a cercare di svolgere le funzioni di presidente. Hanno nel frattempo cominciato a fioccare le dimissioni di esponenti dellìamministrazione uscente che potrebbero aumentare le pressioni su Trump per una fuoriuscita. Tra loro, il vice consigliere per la sicurezza nazionale Matt Pottinger e il chief of staff della First Lady Melania. Ma sta considerando una fuga il Segretario ai Trasporti Elaine Chao, moglie del leader repubblicano al Senato Mitch McConnell. Come anche il consigliere per la sicurezza nazionale Robert O’Brian.
Il 25esimo Emendamento
Nel caso venga invece scelta o si riveli necessaria senza indugi la strada di una cacciata forzata, è il 25esimo Emendamento della Costituzione a governare questa procedura, passando i poteri, almeno temporaneamente, al vicepresidente che diventa presidente ad interim. In assenza di un’uscita di scena volontaria, il vicepresidente e una maggioranza del gabinetto di governo possono decidere che il presidente non è in grado di «espletare i poteri e doveri del suo ufficio» e lo comunicano formalmente ai vertici del Senato. Qualora il presidente rivendicasse in seguito un ritorno dei poteri, il vice e la maggioranza del gabinetto possono opporsi e lo scontro viene risolto da un voto del Congresso che per bocciare il presidente ha bisogno di una maggioranza di due terzi in entrambe le camere.
Adottato dopo Kennedy e mai usato
L’emendamento fu adottato tra il 1965 e il 1967 in risposta al trauma e alla confusione sui passaggi di poteri in seguito all’assassinio di John F. Kennedy nel 1963. Non è mai stato usato per cacciare in modo permanente e forzato un presidente, al più invocato volontariamente per brevi assenze legate a interventi chirurgici da Ronald Reagan e George W. Bush. A invocarlo sono adesso anche ambienti di business: l’associazione delle imprese manifatturiere Nam lo ha citato apertamente in risposta ai fatti di mercoledì, chiedendo a Pence di «considerarlo seriamente per preservare la democrazia». Il dubbio è che al governo oggi siano però rimasti solo fedelissimi di Trump, incapaci di prendere posizione contro di lui anche in questo frangente.
Un nuovo impeachment
È possibile infine un nuovo impeachment accelerato. A volerlo, la Camera potrebbe votare incriminazioni nel giro di poche ore e il Senato orchestrare un processo a tambur battente. La deputata democratica Ilhan Omar ha indicato che sta preparando articoli di impeachment contro il Presidente uscente sulla base della sua istigazione all’assedio violento del Congresso e agli attacchi alle elezioni. «Non possiamo permettere che rimanga al potere, è una questione di preservazione della nostra Repubblica e dobbiamo rispettare il nostro giuramento», a proteggerla, ha fatto sapere. Altri deputati democratici, quale Diana DeGette del Colorado, hanno chiesto l’immediato impeachment di Trump, seguito dalla sua rimozione e dal suo arresto. Nonostante le prese di distanze e le critiche aperte di numerosi repubblicani, è tuttavia discutibile la loro disponibilità a mettere in stato di accusa e condannare Trump. Undici mesi or sono il Senato a maggioranza repubblicana aveva assolto Trump da articoli di impeachment.
Incriminazioni degli aggressori
Se dubbi esistono sulle mosse nei confronti di Trump, azioni rapide potrebbero scattare nei confronti dei suoi sostenitori che hanno invaso il Congresso. Ci sono in realtà gravi polemiche sulla grave inadeguatezza della protezione offerta dalle forze dell’ordine al Parlamento, con alcuni democratici che hanno accusato le forze dell’ordine di aver agito con i guanti contro gli assalitori mentre avevano usato tattiche brutali contro le proteste quasi sempre pacifiche di Black Live Matter. Ora però diversi procuratori federali, anche repubblicani dall’Ohio al Kansas, hanno promesso di indagare e incriminare residenti nelle loro giurisdizioni che abbiano partecipato alle violenze. Diversi i reati possibili: da distruzione di proprietà ad aggressioni.
Espulsione di repubblicani
Alcuni esponenti democratici hanno anche proposto rappresaglie contro repubblicani considerati come complici di Trump. Chiedono di non insediare in Congresso parlamentari che abbiano sostenuto apertamente le sue teorie cospirative e gli incitamenti alla rivolta che hanno alla fine ispirato le violenze. Decine di deputati e senatori hanno non solo messo a punto e difeso obiezioni contro la certificazione del successo di Biden, ma hanno ripetuto pubblicamente e spesso le false accuse di brogli elettorali fatte circolare da Trump. Il Congresso può tecnicamente espellere con maggioranze qualificate i propri membri, anche se accade molto raramente e appare poco probabile che una simile proposta trovi i voti per procedere.
L’inaugurazione di Biden
L’unica certezza è così, al momento, che Biden sarà inaugurato il 20 gennaio 46esimo presidente degli Stati Uniti. È una inaugurazione programmata per essere in gran parte virtuale, a causa della pandemia non si nuove preoccupazioni per violenze. È tuttavia indubbio che è aumentato il nervosismo, per gli eventi e la giornata del giuramento e il debutto formale di Biden. L’attacco al Parlamento ha dimostrato che frange di estremisti legate a Trump continuano a credere nell’illegittimità del successo del leader democratico e potrebbero dimostrarsi pericolose. Che lui rimanga o meno alla Casa Bianca nelle prossime due settimane.
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