Considerazioni sulla diversità: il velo di Maya si è strappato
Andare oltre le definizioni che ci hanno insegnato diventa necessario. Questo implica imparare a porsi domande su ciò che ci circonda e ad essere pronti a rivedere le proprie idee e convinzioni
di Veronica Giovale *
3' di lettura
Possiamo scegliere di preservare l'omogeneità e il conformismo apparentemente rassicuranti, oppure possiamo provare a percorrere la via della differenza e dell'unicità, dove l'incertezza diventa la nostra fedele e onesta compagna di vita. Se abbiamo il coraggio di strappare il velo di Maya - non è una dissertazione sul fenomeno e sul noumeno di Kant e di Schopenhauer - avremo anche l'occasione di leggere e percepire il sé in modo più funzionale rispetto alle relazioni che intrecceremo e all'ambiente in cui ci muoveremo.
Nel 1990 l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha cancellato l'omosessualità dall'elenco delle malattie mentali. Dal 2018 la transessualità non è più classificata come malattia mentale ed è stata rimossa dalla categoria dei disordini mentali dell'International Classification of Diseases, per essere inserita nel capitolo delle “condizioni di salute sessuale”. Dal settembre del 2018, la Corte Suprema indiana dopo ben 157 anni ha depenalizzato i comportamenti omosessuali “come offese contro natura” (le pene arrivavano sino a 10 anni di carcere).
Cambiamento e capacità di leggere le diversità sono le prime parole che mi balzano alla mente quando leggo i fatti appena riportati. Andare oltre le definizioni che ci hanno insegnato diventa necessario. Questo implica imparare a porsi domande su ciò che ci circonda e ad essere pronti a rivedere le proprie idee e convinzioni. Significa conoscere, apprendere e accettare la contraddizione come elemento intrinseco della natura umana. Il peso da sopportare forse sarà maggiore in termini di comprensione del reale ma è altrettanto vero che la libertà di pensiero e la liberta di conoscenza rappresentano una conquista quotidiana, seppur costituita da dolorosi strappi e atrocità. L'essere umano è anche questo.
Perfino le aziende stanno provando a strappare il velo di Maya. Talvolta lo strappo è goffo, improprio, calcolato, rimediale, altre volte invece è volto a perseguire l'innovazione, l'eccellenza il cambiamento.
Lee Gardenswartz e Anita Rowe, esperte di Diversity&Inclusion, nel 1994 hanno identificato quattro livelli di diversità, rappresentati come una sorta di fiore stilizzato, che se considerati nel loro insieme definiscono l'identità di una persona e ne influenzano la percezione del mondo. Al centro del fiore si trova la personalità di ciascuno di noi che è definita come un gruppo di caratteristiche stabili direttamente collegate all'identità di una persona. Nel secondo cerchio si trovano le dimensioni interne della persona come l'età, il genere, le abilità fisiche, il gruppo etnico, le preferenze sessuali, la razza - negli ultimi anni si è scoperto che il concetto di razza umana in realtà non ha alcuna base scientifica (nemmeno per i cani e i gatti) e quindi l'usuale catalogazione degli esseri umani in base alle razze è scientificamente scorretta .
Queste caratteristiche influenzano il comportamento individuale e non sono sotto il controllo cosciente della persona. In questo spazio si formano gli stereotipi e i pregiudizi. Nel terzo cerchio si trovano le dimensioni secondarie, ovvero quelle esterne nelle quali l'individuo esercita un maggiore controllo perché ha una maggiore libertà di scelta. Alcune di queste dimensioni sono la religione, gli hobbies, l'istruzione, lo stato civile, le esperienze di lavoro, il proprio aspetto, dove si vive ecc. Anche le dimensioni menzionate esercitano un'influenza sui comportamenti, sulle percezioni e sugli atteggiamenti individuali. Il quarto livello concerne le dimensioni organizzative come l'ambito lavorativo, l'anzianità aziendale, il luogo di lavoro, lo status manageriale ecc.
Gli effetti positivi sulla valorizzazione e gestione della diversità sono confermati dalla ricerca e dalle esperienze manageriali. È altrettanto vero che esiste una letteratura che mette in luce gli effetti negativi della diversità promuovendo l'In-group. Le due prospettive dicotomiche sono la Teoria dell'informazione sociale e la Teoria della categorizzazione sociale. In estrema sintesi, la prima afferma che la diversità porta a processi decisionali migliori perché gruppi eterogenei offrono un ventaglio più ampio di capacità, competenze, esperienze, visioni del mondo e quindi possono intercettare con più facilità la soluzione più pertinente al problema da risolvere. La seconda teoria afferma invece che, proprio l'affinità tra le persone determina attrazione, simpatia e ciò costituisce il gruppo di appartenenza. Questa unione diventa la forza del gruppo perché produce coesione, compattezza, minori conflitti e quindi una molteplicità di risultati positivi.
Siccome le barriere della diversità sono visibili e invisibili, chiunque deciderà di intraprendere questo cammino avrà bisogno di studiare le nuove evoluzioni umane e organizzative e dovrà accettare l'infinita limitatezza e contraddizione dell'essere umano.
* Partner di Newton Spa
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