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Consumi di carne a -30%, giù i prezzi all’ingrosso: serve ridurre la produzione

Luigi Scordamaglia (Inalca): «Prioritario gestire l’eccesso di offerta in Europa». Macellazioni ridotte del 4,5% per il settore dei bovini e del 15,8% per i suini

di Giorgio dell'Orefice

Durante il lockdown il settore delle carni non ha potuto neanche utilizzare il canale dell’ecommerce

4' di lettura

È vero che alcuni settori hanno subito meno il lockdown di altri. Che avere registrato un minore fatturato rispetto allo scorso anno è meglio di non avere fatturato affatto. Ma anche all’interno del comparto alimentare, uno dei pochi rimasti quasi pienamente in funzione nel corso dell’emergenza Covid-19, si sono registrate profonde differenze. In genere hanno pagato un prezzo elevato i segmenti più esposti con il canale della ristorazione che è stato a lungo chiuso mentre hanno limitato i danni le produzioni presenti sugli scaffali della grande distribuzione che ha sempre funzionato.

Per tutti, i maggiori consumi domestici non hanno compensato, soprattutto in termini di valore, il crollo delle vendite fuori casa ovvero di ristoranti, hotel e catering. È il caso del settore della zootecnia made in Italy (comparto che conta per la sola industria della carne bovina su un fatturato di circa 6 miliardi di euro) che ha registrato un crollo dei consumi del 30% circa e che si trova ora a dover fronteggiare una condizione di eccesso di offerta in tutti gli stadi della filiera.

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In particolare difficoltà il segmento delle carni di vitello (500mila i capi allevati in Italia, di cui oltre un terzo in Lombardia), destinato in prevalenza ai circuiti della ristorazione e alberghiero.

L’allarme delle associazioni

A lanciare un vero e proprio allarme nei giorni scorsi è stata l’Organizzazione interprofessionale della carne bovina-Oicb, a cui aderiscono Assalzoo, Assograssi, Cia-Agricoltori Italiani, Confagricoltura, Copagri, Fiesa-Confesercenti e Uniceb.

L’Oicb ha espresso soddisfazione per le misure varate dal Governo nell’ambito del fondo emergenziale che, tra premi alla macellazione e aiuti all’ammasso privato, ha riservato al settore una fiche finanziaria di 35 milioni di euro. Ma le condizioni restano critiche, sia sul mercato interno sia cross-border.
«Occorre puntare su export e promozione, favorire il dialogo con la grande distribuzione organizzata – hanno scritto gli operatori riuniti in Oicb – e serve l’adozione di un piano di sostegno strutturale di rilancio e valorizzazione del settore delle carni bovine italiane».

La priorità è ora quella di gestire l’eccesso di offerta, dovuto anche a una rinnovata pressione dei principali competitor europei come Francia, Spagna, Germania e Polonia anche loro alle prese con giacenze da smaltire. Il riflesso immediato è la flessione dei prezzi. Giorni fa alla Borsa merci di Modena le quotazioni delle carni di vitello di prima qualità (mezzene) superavano a malapena la soglia dei 5 euro al chilo contro i 6,5 euro di 12 mesi fa (con un calo del 21%).

Macellazioni in calo

Una prima strada già imboccata è quella della riduzione delle macellazioni: secondo i dati Istat nei primi cinque mesi dell’anno si è registrato un calo del 4,5% nel settore delle carni bovine e del 15,8% in quello dei suini.

Numeri che hanno già portato la Commissione Ue a stimare per l’intera annata 2020 un calo della produzione di carni bovine dell’1,7% e dei consumi del 2,7%.
L’export Ue dovrebbe invece aumentare di circa 2 punti percentuali - stima Bruxelles - mentre le importazioni a livello dei Ventisette dovrebbero subire una contrazione del 7%, grazie anche a una minore pressione alle frontiere Ue di carni bovine provenuti dall’area Mercosur.

«La priorità è gestire l’eccesso di offerta in Europa – spiega l’ad di Inalca (2,1 miliardi di euro di giro d’affari) nonché consigliere delegato di Filiera Italia, Luigi Scordamaglia – perché la parziale ripresa dei consumi in Cina consentirà di assorbire una buona parte dell’offerta di player come il Sudamerica e l’Australia. Il problema quindi è soprattutto in Europa dove per giunta scontiamo le misure inefficienti adottate dalla Commissione come l’ammasso privato rimasto in larga parte inutilizzato. Misure deboli e completamente vanificate dalla stessa Commissione che con il primo vicepresidente Frans Timmermans alla presentazione del Green New Deal si è augurata che presto ci possano essere carni e latte senza stalle. Ricordo alla Commissione che gli allevamenti italiani producono un quinto delle emissioni per chilo di carne ai nostri competitor Sudamericani e che pertanto sono perfettamente in linea con gli obiettivi del Green New Deal. Se la Commissione ci vuole davvero sostenere eviti di diffondere fake news come questa che rischiano per giunta solo di favorire poche multinazionali della chimica e delle produzioni studiate in laboratorio».

La strada dell’innovazione

Va detto inoltre che nel corso del lockdown il settore delle carni bovine alla pari di altri comparti dell’alimentare fresco (come l’ortofrutta) e a differenza di segmenti come il vino non ha potuto neanche contare sui paracadute dell’e-commerce e del delivery che se non hanno certo compensato le perdite tuttavia in qualche caso hanno consentito di recuperare terreno, rispetto ad altri paesi, sul fronte delle vendite on line che di certo rivestiranno una sempre maggiore importanza in futuro.

«Il nostro paese soprattutto dal punto di vista logistico, ha aggiunto Scordamaglia – non è ancora attrezzato per garantire le spedizioni di un prodotto deperibile come la carne. Ma nel corso del lockdown anche nel nostro settore si sono affermati canali nuovi. Come i drive in o i drive park messi in piedi da alcune insegne della grande distribuzione internazionale. Luoghi nei quali il consumatore una volta comunicato il proprio arrivo ordina attraverso una app e viene servito in tempo reale. Questi strumenti e canali innovativi hanno portato le catene che li hanno adottati a un incremento delle vendite di carne tra il 10 e il 15 per cento».

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