Conte e le domande dopo il derby: il mercato di lusso non basta all’Inter
Nel derby il Milan (una squadra che prima del lockdown era allo sbando) non solo ha battuto l'Inter con una doppietta di Ibra, ma lo ha fatto con l'allegra spregiudicatezza di chi sa che l'impresa è possibile
di Dario Ceccarelli
3' di lettura
Con quello che succede, tra nuove strette e pandemia dilagante, bisogna dire una cosa: meno male che c'è l'Inter di Antonio Conte. Va ringraziata, di cuore. A prescindere. Perché qualsiasi cosa succeda a questo mondo, anche la più tremenda (un discorso di Trump, una replica di Biden), riesce sempre a sorprenderti e a farti sorridere. A convincerti che la vita offre anche dei momenti di inaspettata spensieratezza da condividere con gli amici. E che tra qualche mese (forse) ci sarà un altro derby, un altro Davide che batte Golia, un altro perdente che arriverà primo.
È il bello dell'imprevisto, dalla possibilità che non tutto sia già deciso dalla forza dei soldi e dalla prepotenza dei mezzi. Come è successo nel derby dove il Milan (una squadra che prima del lockdown era allo sbando) non solo ha battuto l'Inter con una doppietta di Ibra, ma lo ha fatto con l'allegra spregiudicatezza di chi sa che l'impresa è possibile. Che anche i giganti, quando sono presuntuosi, vanno al tappeto. E fanno tanto rumore perchè l'Inter, tra le big, è quella che questa estate si è rafforzata di più sul mercato. Un particolare che va detto ad Antonio Conte che, essendo l'allenatore più pagato d'Italia (12 milioni all'anno), e disponendo di una delle corazzate più potenti del campionato, deve anche pagare dazio quando alcuni suoi errori (una difesa fragile e supponente) aprono la strada a una sconfitta che lascia il segno perchè si porta dietro tante altre scorie.
Non è piacevole trovarsi a meno cinque punti da un Milan capolista dopo solo quattro giornate di campionato. E' vero che al Milan una partenza così non capitava dai tempi di Fabio Capello (1995-96), però Conte, con i campioni che ha ( e un formidabile Lukau), non può cavarsela con le solite frasette di circostanza (“non siamo cinici, ci manca l'equilibrio”) che i mister di tutto il mondo ci propinano quando il vento soffia loro in faccia.
Conte è un un grande allenatore, va bene. Però, oltre agli onori e al lauto stipendio, deve anche prendersi gli oneri che il suo ruolo comporta. Basta fare la vittima. O giocare a nascondino. Questa estate, dopo il secondo posto, ha fatto pelo e contropelo alla società chiedendo, se si vuole essere all'altezza della Juventus, più mezzi e più sostegno per arrivare allo scudetto. Ora che li ha avuti però tocca a lui dimostrarsi all'altezza. E finora, con questa Inter molle in difesa e nel carattere, non lo è stato. Poi magari Conte vincerà il campionato. Nulla è definitivo. Ma adesso il suo primo bilancio è magro. Molto magro.
Il contrario del Milan di Pioli. Tutti parlano del potere taumaturgico di Ibrahimovic, che certo ha avuto grande importanza nello svezzare una banda di ragazzini.
Ma Pioli? Cosa bisogna dire di un allenatore che il marzo scorso era già stato considerato da rottamare dalla società? Eppure, Pioli, senza mai un lamento, nel silenzio del lockdown, ha trasformato una inaffidabile scolaresca in un gruppo di giocatori di primo ordine. Una striscia di venti partite utili consecutive non viene per caso. Dietro c'è lavoro, senso di responsabilità, capacità di valorizzare giovani talenti. C'è stata anche un po' di fortuna, ovvio. Perchè come diceva Napoleone, i migliori generali sono quelli fortunati. Però la strada da seguire è quella. Il leone è Ibra. Ma Pioli è il saggio domatore.
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