ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùGli atti dell’inchiesta

Conte a pm Bergamo: mai avuto in mano bozza su zona rossa Covid. Speranza: sapeva della mia firma sulla bozza

Lo ha chiarito l’ex presidente del Consiglio, rispondendo ai pm di Bergamo (è stato sentito come persona informata dei fatti il 12 giugno 2020 nell’indagine sulla gestione del Covid nella bergamasca)

Covid, chiusa l'inchiesta a Bergamo

6' di lettura

L’ex premier Giuseppe Conte ha ricordato che a non chiedere la zona rossa per la Val Seriana nei giorni più difficili della pandemia Covid è stato il governatore della Lombardia Attilio Fontana. «Con Regione Lombardia non ho avuto interlocuzioni dirette in materia di “zona rossa” per Nembro e Alzano. Le mie interlocuzioni sono state solo con il Presidente Fontana ed escludo che mi sia stata chiesta l’istituzione di una zona rossa per Nembro e Alzano». Il leader M5s lo ha chiarito, rispondendo ai pm di Bergamo (è stato sentito come persona informata dei fatti il 12 giugno 2020 nell’indagine sulla gestione del Covid nella bergamasca)». Il verbale è agli atti dell’inchiesta. Conte ha spiegato che da Fontana non sono mai arrivate «richieste formali o informali» sulla zona rossa e ha parlato della mail che il governatore gli inviò il 28 febbraio 2020 chiedendo il «mantenimento» delle «misure» già «adottate».

Conte a pm, il 6 marzo soluzione più rigorosa di zona rossa

«Di fronte» agli approfondimenti del Cts «e alla luce degli ultimi dati - ha spiegato ancora Conte -, emerse l’orientamento degli esperti di una soluzione ancora più rigorosa e complessiva, non limitata ai solo due comuni della Val Seriana», ma a tutta Italia. Conte ha raccontato che la mattina del 6 marzo 2020 si era recato negli uffici della Protezione Civile dove si svolse «un ampio confronto» sui dati epidemiologici «della Val Seriana e degli altri territori lombardi e non solo».

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«Mai avuto in mano bozza su zona rossa»

«Il fatto che il 5 marzo 2020 la bozza fosse già sottoscritta dal Ministro Speranza mi è stato riferito successivamente, credo dai miei collaboratori. Il documento firmato non è mai stato nelle mie mani», ha continuato Conte. L’ex premier ha risposto a una domanda sul decreto per istituire la zona rossa a Nembro e Alzano Lombardo di cui Speranza lo aveva informato. Il provvedimento fu firmato solo dall’allora ministro e non entrò in vigore.

«Lamorgese mi parlò di ricognizione Val Seriana»

«L’ho saputo dopo, credo dalla stampa. Ho chiesto informazioni, se non erro alla Ministra Lamorgese, e mi è stato detto che, in via preventiva, avevano predisposto una ricognizione. Non credo fosse stato disposto dalla Ministra Lamorgese e in ogni caso non mi sono informato sui dettagli». Così l’attuale leader M5s ha risposto ad una domanda dei pm di Bergamo che gli chiedevano se sapesse che «nei giorni precedenti al 5 marzo 2020» c’era stato o meno «un dispiegamento di forze dell’ordine nei Comuni di Nembro e Alzano Lombardo». Comuni nei quali comunque la zona rossa non fu mai istituita.

Speranza: «Conte sapeva della mia firma su bozza zona rossa»

Speranza, allora ministro della Salute del governo guidato da Conte, ha replicato ai pm di Bergamo sul perché la bozza di decreto relativa alla Val Seriana portasse la sua firma prima ancora che quella dell’ex premier. «Quando ho firmato la proposta di Dpcm - ha spiegato -, ne avevo già parlato con il presidente Conte. Ricordo anche che della questione Alzano/Nembro, sollevata nel verbale del Cts del 3 marzo 2020, ne avevo già parlato con il presidente Conte nella giornata del 4 marzo 2020. In quei giorni peraltro, il confronto con Conte su tali questioni era chiaramente costante». «La mia premura - ha continuato Speranza - era quella di assicurare che l’iter del provvedimento non fosse rallentato dalla mia imminente trasferta a Bruxelles. Era infatti previsto che sarei rientrato a Roma non prima del pomeriggio del giorno successivo. L'opportunità di firmare, sin da quel momento, la proposta del Dpcm, proprio per non ritardare l'iter e ancor prima di ricevere i chiarimenti richiesti a Brusaferro, fu condivisa anche dal presidente Conte», ha sottolineato l’ex ministro della Salute. L’ex ministro della Salute ha poi precisato che «non risulta al mio Ufficio alcuna richiesta formale da parte di Regione Lombardia relativa alla zona rossa di Alzano/Nembro». La zona rossa in Val Seriana non vedrà mai la luce. «Sono rientrato a Roma nel pomeriggio del 6 marzo 2020 e ho preso atto che nel corso della riunione tenuta quella mattina tra Cts e il presidente Conte, presenti il mio capo di gabinetto e mio vice capo di gabinetto, era maturato un cambio di linea e prospettiva. Non si riteneva più possibile contenere la diffusione del virus in aree circoscritte. C'era invece bisogno di misure rigorose che però avrebbero dovuto riguardare un'area molto più vasta». Questa valutazione «emerge chiaramente dal verbale del Cts 7 marzo 2020, nel quale vengono indicate puntualmente tutte le misure da assumersi e le aree territoriali a cui applicarle. Il Dpcm successivamente firmato l'8 marzo terrà conto letteralmente di queste ultime valutazioni del Cts», ha concluso Speranza.

L’ex ministro della Salute a pm, servivano misure più forti di zona rossa

L’allora ministro della Salute, sentito dai pm di Bergamo nel giugno del 2020, ha spiegato che «non si riteneva più possibile contenere la diffusione del virus in aree circoscritte. C’era invece bisogno di misure rigorose che però avrebbero dovuto riguardare un’area molto più vasta». Speranza ha parlato del «cambio di linea» che maturò in una riunione tra il Cts e Conte il 6 marzo, quando si andava verso il lockdown nazionale. Speranza nel verbale di sei pagine ha anche riferito che non ci fu «alcuna richiesta formale» dalla Regione Lombardia su una zona rossa in Val Seriana.

Atti inchiesta: Fontana e Gallera sapevano dal 27 febbraio Lombardia fuori controllo

Negli atti di chiusura dell’inchiesta viene inoltre spiegato che Fontana e l’ex assessore lombardo al Welfare Giulio Gallera «erano a conoscenza che il 27 febbraio 2020 l’R0 in Lombardia era pari a 2, ossia fuori controllo» e dal giorno successivo «entrambi erano a conoscenza delle previsioni di Merler». Documenti in cui si riferisce che «Regione Lombardia non ha mai formalmente sollecitato alcun provvedimento contingibile per i territori di Alzano e Nembro o per altre aree regionali».

«Brusaferro non agì», per Iss ipotesi truffa ai danni dello Stato

L’inchiesta della procura di Bergamo vede una ventina di indagati tra cui Silvio Brusaferro, presidente dell’Iss. «Nonostante il presidente dell'Iss sia a conoscenza delle conseguenze devastanti del Covid-19 in Cina - si legge negli atti di chiusura - e nonostante a fine gennaio vi fosse stata la conferma che il virus era ormai giunto in Italia, è emerso che non sono state adottate iniziative dirette a preparare il Sistema sanitario nazionale a prepararsi e a rispondere all'emergenza». Inoltre, sul fronte dei tamponi, «dall'analisi delle copie forensi sono emersi elementi che, se confermati da successive indagini, evidenziano la commissione di una truffa ai danni dello Stato». In un documento allegato agli atti si attesta che per i «primi 200 test da parte dell'Istituto superiore di sanità emerge che gli oneri per il predetto numero di test (200) sono pari a 150.000 euro», così come «si chiedono risorse utili per l'effettuazione di almeno 800 test, pari a 600.000 euro lordi». Ciò significa - si legge ancora - «che il costo sostenuto e da sostenere per ogni test effettuato presso il laboratorio dell'Iss è pari a 750 euro». Sul punto sono state richieste informazioni all’azienda ospedale - Università di Padova, la quale ha comunicato che nel febbraio-marzo 2020 veniva prevalentemente usato un tipo di test, con un «costo industriale unitario pari, allora, a 2,82 euro». La vicenda, di competenza della procura di Roma, «necessita ovviamente di ulteriori indagini».

«Ritardi ministero Salute su Oms per tradurre testi dall’inglese»

C’è un capitolo dedicato alle “Carenze nella gestione dell'emergenza da parte del Ministero della salute” tra le quasi 2.500 pagine della chiusura inchiesta sulla prima fase della diffusione del Covid. In particolare, si elencano «i ritardi, le inadeguatezze, le inefficienze e le carenze ministeriali» e tra i vari punti sull’«insufficienza delle misure preventive adottate» si evidenzia come «la direzione Prevenzione del ministero della Salute non disponeva di personale in grado di tradurre correttamente dall'inglese all'italiano, atteso che i documenti da tradurre venivano inviati alla società Networld srl, con sede in Cagliari». Questa circostanza, si legge, «potrebbe spiegare perché alcuni provvedimenti ministeriali sono stati adottati diversi giorni dopo la pubblicazione da parte di Oms (ci si riferisce, tra gli altri, all'alert del 5 gennaio 2020, diramato dal ministero il 9 gennaio 2020, alla definizione di caso di Oms del 15 gennaio 2020 diramata il 22 gennaio 2020 e alla definizione di caso di Oms del 21 gennaio 2020, diramata dal ministero il 27 gennaio 2020)». Non solo: «il ministero della Salute non disponeva di un ufficio per le emergenze attivo h24 e questo concorre a spiegare i ritardi nell'inoltro alle Regioni delle raccomandazioni di Oms» e anche «per il servizio pubblico 1500 (numero verde, ndr), che ha il compito fondamentale di informazione verso i cittadini, il ministero ha dimostrato, quantomeno, carenze organizzative e gestionali». Dalla documentazione esaminata è pure emerso che «solo dal 4 marzo 2020» il ministero ha approntato una prima stima dei costi delle apparecchiature di ventilazione assistita per le terapie intensive e gli altri posti letto, quando «solo in Lombardia vi erano già 1.820 casi, 73 deceduti e 209 persone in terapia intensiva».

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