Contesa la proprietà della seconda «Mona Lisa»
di Silvia Anna Barrilà
3' di lettura
Fa discutere la seconda versione della «Mona Lisa», esposta fino a pochi giorni a Palazzo Bastogi a Firenze. Non solo per l'attribuzione a Leonardo, sulla quale gli studiosi non concordano, ma anche per la proprietà. “Rappresentiamo una famiglia europea che desidera rimanere anonima che vanta il diritto di proprietà su quest'opera” spiega l'avvocato Giovanni Protti, a cui è stato affidato il caso insieme a Chris Marinello di Art Recovery International , studio di Londra impegnato in ritrovamenti e restituzioni di opere d'arte.
La proprietà contesa. Riscoperta dopo 40 anni, l'opera è stata esposta fino al 30 luglio a Palazzo Bastogi a Firenze in una mostra allestita per iniziativa di una fondazione che afferma di essere incaricata dai proprietari di studiare e dimostrare la paternità del dipinto di Leonardo. Ma la proprietà non sarebbe interamente loro. “I nostri assistiti asseriscono di aver acquistato il 25% dell'opera nel 1964 dal gallerista Harry F. Pulitzer” spiega l'avvocato. “Morto Pulitzer nel 1979, il 75% della proprietà è rimasto a Lady Elisabeth Meyer, che era la sua compagna. Questo rapporto è stato sempre tale fino al 2008, anno della scomparsa di lei, e abbiamo i documenti a testimoniarlo. In questa situazione sono subentrati nel 2008 dei soggetti schermati da società fiduciarie registrate in paradisi fiscali, e da quel momento abbiamo perso il contatto con l'opera, fino alla mostra che si è appena conclusa. Noi insistiamo che rimanga qui perché non vogliamo che rimanga in un caveu, ma che venga esposta al pubblico. Infatti, quando ci chiedono se siamo i proprietari, rispondiamo che ci definiamo i custodi dell'opera, perché quando hai un'opera del genere non ne sei il proprietario, ma il custode, perché è destinata ad essere esposta. Per questo abbiamo sollecitato il ministro Bonisoli, affinché l'opera non lasci l'Italia fino all'udienza di settembre che deciderà sulla richiesta di sequestro”.
Una Mona Lisa italiana. L'opera, infatti, potrebbe essere stata esportata illegalmente dal nostro paese. “Sappiamo da un documento che viene dalla fondazione” spiega l'avvocato, “che l'opera si trovava già in Italia nel 1922, ed era stata attribuita a Leonardo, poi è riuscita dall'Italia e conservata in un caveau in Svizzera per decenni, per poi rientrare in Italia un mese e mezzo fa. Noi ci chiediamo se fosse un'uscita legittima, e solo il ministro può far luce su questo. Noi avvocati siamo uomini di dubbio e ci rivolgiamo alla magistratura e alle autorità affinché dipanino questi dubbi. Se l'opera fosse uscita in modo illegittimo, il ministero potrebbe intervenire. E se fosse di Leonardo, l'Italia avrebbe la sua «Mona Lisa». Se sia stata la Meyer a vendere il 75% non si sa con certezza. Attraverso i Panama Papers siamo risaliti agli asseriti proprietari e lo abbiamo immediatamente comunicato al giudice”.
L'attribuzione dell'opera. L'autenticità del dipinto, noto come «Isleworth Mona Lisa», è stata oggetto di controversia per oltre un secolo. I proprietari dicono che sia un ritratto precedente di Leonardo da Vinci della stessa donna, Lisa Gherardini, del ritratto del Louvre ; altri esperti, tra cui il grande studioso di Leonardo Martin Kemp, ritengono che sia una copia successiva. Lo stesso Pulitzer ha pubblicato un libro nel 1966 dal titolo “Where is the Mona Lisa?”, in cui asserisce si tratti della stessa donna e della stessa mano, ma molti esperti non ci credono. Secondo quanto riporta The Art Newspaper, lo studioso Kym Steiff – ricercatore di base in Svizzera che dal 2004 studia la provenienza del dipinto e ha raccolto centinaia di documenti che ha depositato nella biblioteca regionale di Losanna, – ha dichiarato che Henry Pulitzer avrebbe venduto una parte del dipinto a Leland Gilbert, produttore di porcellana portoghese (anche lui è scomparso, per cui i clienti di Protti e Marinello sarebbero i suoi eredi). Dal 1975 a oggi è rimasto in un caveau in svizzera. La fondazione dal canto suo non ha commentato la proprietà del dipinto, ma ha dichiarato a The Art Newspaper che l'affermazione dei clienti di Protti è “mal fondata e non ha alcun merito”. Prima di arrivare nelle mani di Pulitzer il dipinto era stato proprietà di Hugh Blaker, un pittore e collezionista che lo acquistò nel 1913 e pure credeva fosse un vero Leonardo (Il nome Isleworth viene proprio dallo studio a Isleworth, a Nord di Londra, dove John Eyre conservava il dipinto). Il suo patrigno John Eyre pubblicò un libro già nel 1915 rivendicando il dipinto come un predecessore della «Mona Lisa» del Louvre. Adesso non solo l'autenticità continuerà a far discutere, ma anche la proprietà.
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