Contratti pubblici e digitalizzazione: la volta buona?
Come noto, lo scorso 31 marzo ha visto la luce il nuovo codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 36/2023, il “Codice”), il quale dedica ampio spazio al tema della digitalizzazione.
di Maria Vittoria La Rosa, Roberto Reale
4' di lettura
Come noto, lo scorso 31 marzo ha visto la luce il nuovo codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 36/2023, il “Codice”), il quale dedica ampio spazio al tema della digitalizzazione. Le nuove norme sono state salutate da più parti con comprensibile favore: al tema è infatti dedicata l'intera Parte II del Libro I del Codice, che in ben 18 articoli (artt. 19-36) disciplina temi che spaziano dai “principi e diritti digitali” al ciclo di vita digitale dei contratti pubblici, dalla banca dati nazionale dei contratti pubblici ai marketplace per l'approvvigionamento di beni e servizi da parte delle PA.
È significativo che alla digitalizzazione venga attribuito non più un mero ruolo di supporto allo svolgimento delle procedure di gara, ma un ben più ampio e trasversale compito di “trasformazione” del mondo degli appalti pubblici. Si introduce, ad esempio, il concetto di “ecosistema nazionale di approvvigionamento digitale (e-procurement)”, concetto che da un lato recepisce oltre un decennio di lavoro in sede di policy making tecnico a livello sia europeo che italiano, dall'altro conferisce cittadinanza nel Codice ai sistemi di acquisizione dinamica ed alle piattaforme digitali già largamente in uso nella prassi. Attraverso un importante sforzo di coordinamento con la “magna charta” dello “Stato digitale” in Italia, quel Codice dell'Amministrazione Digitale del 2005 dalle vicende tanto tormentate ma che resta per ora l'unica bussola normativa in materia di e-government (richiamato direttamente ben oltre venti volte nel Codice), si connette poi l'ecosistema di e-procurement alla struttura portante del “sistema operativo del Paese”.
In questo senso, il lavoro fatto negli anni sui modelli di interoperabilità e sull'organizzazione del patrimonio informativo pubblico attraverso la Piattaforma Digitale Nazionale Dati non andrà disperso, almeno nelle intenzioni del Legislatore.Si fa inoltre tesoro, nell'individuazione dei principi in materia di decisioni automatizzate, dei principi enunciati dalla più recente giurisprudenza amministrativa, nonché dal Regolamento (UE) 2016/679 (il “GDPR”). È il caso, ad esempio, dell'art. 30 del Codice, il quale a proposito di decisioni automatizzate in materia di contrattualistica pubblica detta il principio di non esclusività della decisione algoritmica, con conseguente necessità del contributo umano nel processo decisionale: sono qui evidenti le assonanze tanto con i precedenti giurisprudenziali in materia, quanto con l'art. 22 del GDPR, il quale sancisce il diritto dell'interessato a non essere sottoposto a decisioni basate esclusivamente sul trattamento automatizzato.Accanto alle giuste notazioni positive, tuttavia, sorgono spontanee anche riflessioni di diverso tenore.
Varie norme del nuovo testo, infatti, paiono reiterazioni di prescrizioni già esistenti, ma ad oggi non pienamente attuate. Un esempio è costituito dall'art. 30 del Codice, già citato, sull'uso di procedure automatizzate: in alcuni passaggi, esso sembra richiamare DM 148/2021, il quale all'art. 21 si soffermava sul calcolo del punteggio tecnico totale da assegnare agli operatori, da far eseguire in autonomia al “sistema telematico” al quale affidare lo svolgimento della gara. Il DM del 2021, tuttavia, a sua volta fu approvato per attuare (con anni di ritardo) l'art. 44 del codice dei contratti pubblici del 2016 e venne accolto – all'epoca – con una certa frustrazione dagli addetti ai lavori, rimandando tale testo, per la sua concreta attuazione, all'approvazione di una ulteriore disciplina di dettaglio da parte di Agid. La sensazione di molti, nel 2021, fu quella di assistere ad un gioco di rimandi potenzialmente infinito, che agli occhi più disincantati avrebbe potuto presentarsi come un tentativo di procrastinare sine die la concreta operatività di meccanismi in realtà – se non invisi – almeno non auspicati dall'operatore pubblico. Per questa ragione, agli occhi di alcuni l'art. 30 del nuovo Codice potrebbe apparire come un déjà vu.La domanda oggi, dunque, potrebbe essere: siamo davvero in un momento storico in cui la storica resistenza della PA al cambiamento potrà essere vinta? Il Codice offre sia motivi di potenziale ottimismo, sia spunti che suggeriscono cautela.Peculiarità “ataviche” della nostra PA sembrano non essere messe in discussione neanche in questa fase.
Si pensi ad esempio alla frammentarietà nell'organizzazione degli uffici, che fa sì che ogni realtà amministrativa abbia scarsa propensione ad uniformare le proprie dinamiche ed i propri meccanismi interni a quelli altrui: piuttosto che un elemento da scardinare, questa impostazione culturale ed organizzativa sembra interamente confermata, ad esempio nell'art. 25, il quale parte dal presupposto che ciascuna stazione appaltante potrà utilizzare una sua piattaforma di e-procurement. È questa del resto la sfida più impegnativa che chiunque si occupi di transizione digitale pubblica è chiamato oggi ad affrontare: rendere efficienti processi e servizi della PA, senza ledere l'autonomia degli enti e il decentramento amministrativo che trova la sua radice nell'art. 5 della Costituzione. Ed ecco che trova la sua ratio anche il ricorso a strumenti di delegificazione e quindi a disposizioni di attuazione di carattere secondario, come nel caso delle regole tecniche che l'Agid sarà chiamata ad adottare ai sensi dell'art. 26: ricorso sicuramente eccezionale in un Codice che è stato concepito con la dichiarata intenzione di essere self-executing e dunque di non necessitare di disposizioni di attuazione, ma che trova conforto in una prassi de iure condendo ormai consolidata in materia di amministrazione digitale e motivata, come hanno riconosciuto anche i giudici di Palazzo Spada, dall'esigenza di far fronte alle rapide evoluzioni della tecnologia con strumenti più agili rispetto a una norma primaria.
Sarà come sempre la pratica del prossimo futuro a chiarire quante delle preoccupazioni esposte siano realmente fondate (poche, si augura chi scrive) e quante delle promesse del nuovo Codice saranno realmente mantenute. Quel che sembra certo è che la riforma non potrà concretizzarsi senza un confronto continuo, inter pares, che coinvolga tutti gli attori dell'ecosistema del procurement pubblico.
Studio Portolano Cavallo
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