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Contratti a termine in corso: più tempo per le assunzioni senza la causale

di Ornella Lacqua, Alessandro Rota Porta

(Wasan - stock.adobe.com)

3' di lettura

Il decreto Lavoro (Dl 48/2023) ha cambiato la disciplina del contratto a termine in due step: dapprima, attraverso l’articolo 24, quando è entrato in vigore il provvedimento, il 5 maggio scorso, revisionando le causali da indicare qualora si voglia prolungare la durata da 12 fino al massimo di 24 mesi; poi, con la conversione in Legge (85/2023), dal 4 luglio, assimilando le previsioni attinenti l’istituto del rinnovo (si ricorda che, per tali, si intendono i nuovi contratti a termine, dopo che sia cessato un precedente rapporto sempre a tempo determinato) a quello delle proroghe e introducendo una sorta di data zero per il conteggio della durata di 12 mesi acausali. Vediamo quindi, nel dettaglio, cosa cambia e che cosa resta invariato.

Le causali

Con riferimento al regime delle causali sono state individuate tre fattispecie che consentono di sforare il tetto dei 12 mesi appena citato: la prima, nei casi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali; la seconda, che scatta in assenza delle previsioni appena citate nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 30 aprile 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti; la terza, in sostituzione di altri lavoratori. Pertanto - dal punto di vista operativo - una volta esauriti i 12 mesi di contratto a termine acausale il datore di lavoro che intende rinnovare un rapporto a tempo determinato oppure prorogarlo oltre deve, innanzitutto, verificare se i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali applicati in azienda regolano questo aspetto. L’eventuale disciplina collettiva, secondo il Dl 48/2023, dovrebbe indicare quali sono le casistiche nelle quali è ammesso il rinnovo o la proroga del contratto.

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In mancanza di previsioni all’interno di questi accordi collettivi, e salvo il caso di esigenze sostitutive, i singoli datori devono gestire il tema in accordo con i dipendenti interessati dal rinnovo o dalla proroga, definendo per iscritto le ragioni che rendono necessario il nuovo rapporto o la prosecuzione di quello in corso: un percorso più stretto rispetto ai contratti collettivi, perché occorre indicare le «esigenze tecniche organizzative e produttive» che rendono necessaria la proroga o il rinnovo. È opportuno evitare descrizioni generiche, formule di stile o previsioni scollegate dal contesto aziendale; bisognerà, invece, descrivere in modo preciso e puntuale quale sia la necessità produttiva, tecnica od organizzativa da fronteggiare, utilizzando circostanze facili da dimostrare in un eventuale futuro giudizio. Come detto poc’anzi, la norma lascia questa facoltà alle parti, datore e lavoratore, soltanto fino al 30 aprile 2024. Ricordiamo, infatti, che, in caso di contenzioso, se le causali inserite nel contratto non saranno ritenute valide in giudizio, quei rapporti di lavoro saranno convertiti in un contratto a tempo indeterminato a tutti gli effetti.

I 12 mesi

Ma le novità non si fermano a quelle descritte finora perché il decreto Lavoro introduce, altresì, una sorta di “punto zero” ai fini del computo della durata di 12 mesi dei rapporti a termine più volte citato: infatti, per effetto del comma 1-ter, dell'articolo 24, del Dl 48/2023 (dopo le modifiche della legge 85/2023), si tiene conto dei soli “contratti stipulati” a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legge 48/2023, ossia dal 5 maggio 2023. Questa puntualizzazione è molto importante perché fornisce un parametro temporale che prima non esisteva; peraltro, qualora il contratto a tempo determinato sia stato stipulato ante 5 maggio scorso e la sua durata si collochi a cavaliere di questa data - salvo diverse indicazioni ufficiali che dovessero pervenire - la dizione utilizzata dal legislatore sembrerebbe portare a escludere da questo computo sia i periodi del rapporto che si collocano prima che quelli che travalicano la data spartiacque. Ovviamente, restando fermo il limite di durata massima di 24 mesi dei rapporti a termine intrattenuti con lo stesso datore. Infine, ricordiamo come la maggior parte dell’impianto del lavoro a termine, regolato dal Capo III, del Dlgs 81/2015, resta comunque immutato: infatti, non cambiano le previsioni in materia di stagionalità, sul numero di proroghe (che restano 4 nell’arco di 24 mesi, a prescindere dal numero dei contratti), sulla continuazione del rapporto oltre la scadenza del termine, sui limiti e sui divieti di utilizzo di rapporti a tempo determinato, sul diritto di precedenza.

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