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Nessun giudice può togliere la cittadinanza onoraria a Bolsonaro

La Suprema corte si esprime, per la prima volta, su un’azione popolare contro i riconoscimenti, chiarendo che non può trovare risposta nei tribunali

di Patrizia Maciocchi

4' di lettura

Non esiste un giudice a Berlino che possa dare una risposta all’azione popolare, promossa da un gruppo di cittadini di Anguillara Veneta, con il supporto dei Verdi, contro la cittadinanza onoraria all’allora presidente del Brasile Jair Messias Bolsonaro, discendente di un uomo partito da quel comune. Un atto che, pur non essendo politico e dunque come tale sottratto al controllo dei giudici, ha un valore solo simbolico e «non crea alcuna posizione soggettiva in capo al destinatario». Con questa motivazione le Sezioni unite hanno dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione sulle cittadinanze onorarie. Tema sul quale non ha diritto di parola né il giudice ordinario né quello amministrativo.

La novità del tema all’attenzione delle Sezioni unite

Con un’ ordinanza, della quale il Supremo consesso sottolinea la novità e la complessità, i giudici indicano ai ricorrenti le strade del dissenso concesse dalla Costituzione: dalla denuncia sui media, della loro contrarietà ad avere come “paesano” l’ex leader del Brasile, alle manifestazioni, fino all’associazionismo finalizzato alla pubblicità della protesta. Una causa che i cittadini non hanno difficoltà ad illustrare, chiarendo bene i motivi, per i quali non gradiscono l’accostamento dell’”onorato” con la comunità locale.

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I motivi della protesta

Ad avviso di chi ha aderito all’azione popolare, infatti, l’immagine del Comune sarebbe leso dall’abbinamento con una personalità i cui comportamenti e le cui dichiarazioni sono in conflitto «con i tradizionali riferimenti storici e culturali del Comune di Anguillara Veneta espressi nello statuto comunale». Per spiegare meglio le ragioni della contrarietà, nel ricorso sono richiamate alcune dichiarazioni attribuite a Bolsonaro, in tema di diritti umani, civili, sul rispetto della parità di genere e degli orientamenti sessuali. «Dobbiamo dare i diritti umani agli esseri umani, non ai marginali»; «l’unico errore della dittatura militare brasiliana è stato torturare invece di uccidere»; «sarei incapace di amare un figlio omosessuale. Non sarò ipocrita: preferisco che mio figlio muoia in un incidente piuttosto che si presenti con un altro uomo. Per me sarebbe come se fosse morto, in ogni caso».

La natura non politica di un atto senza effetti

I ricorrenti chiedevano al giudice ordinario di dichiarare nulla la deliberazione del Consiglio comunale, per rimediare ad una lesione di rilievo Costituzionale, «in relazione al diritto all’identità personale, storica e culturale dell’Ente e alla sua immagine». Dal canto suo il Comune controricorrente, difendeva la sua scelta che, come atto politico, poteva essere superata solo da un’altra delibera comunale. La Suprema corte però nega il carattere politico dell’atto, che va riconosciuto solo nei casi estremamente ristretti «in cui si realizzano scelte di specifico rilievo costituzionale e politico». Ad esempio è atto politico il provvedimento con il quale il Governo ha dato l’ok all’ampliamento di una base militare Usa in Italia. Lo è la nomina, da parte dei presidenti dei due rami del Parlamento del presidente dall’Autorità garante della concorrenza e del marcato, come la decisione di fissare un’unica data per le elezioni amministrative ed europee. Restando nel capo degli esempi, non è atto politico ma amministrativo, la direttiva del ministro dell’Economia e delle finanze al direttore generale del Dipartimento del tesoro per ottenere che il presidente del consiglio d’amministrazione della Rai, partecipata per il 99,56% dal ministro dell’Economia, convochi l’assemblea dei soci per deliberare la revoca di un consigliere d’amministrazione della società e procedere alla sua sostituzione con un nuovo amministratore. E ancora, non è atto politico la nomina del segretario generale del Consiglio regionale come non lo è il provvedimento di scioglimento di un’associazione politica e di confisca dei suoi beni. Quanto alla cittadinanza onoraria non è atto politico in quanto non «riconducibile alle supreme scelte in materia di costituzione, salvaguardia e funzionamento dei pubblici poteri». Questo non basta però perché i giudici possano intervenire. La benemerenza ha natura puramente simbolica e non è utile «ad accrescere o ledere la sfera del destinatario e viene disposta nell’ambito di un’attività libera ed autonoma in quanto non regolata da alcuna norma di legge».

Il meccanismo di controllo

Una concessione discrezionale che non influisce neppure sulla concessione anagrafica del beneficiario. Né l’azione popolare è la via da percorrere per contestare la validità dell’atto del Comune. Non basta essere cittadini residenti del Comune di Anguillara Veneta - con posizioni diverse magari da altri residenti - per dichiarare l’interesse collettivo.

Il meccanismo di controllo non passa, dunque, per la giurisdizione, ma è affidato «alla discussione libera e democratica: dentro l’aula del consiglio comunale, dove si confrontano dialetticamente le forze di maggioranza e di minoranza liberamente elette, portatrici di diversi ideali». Oppure « fuori del palazzo municipale, sui giornali, nei dibattiti televisivi e nelle piazze, anche virtuali, delle nostre città. Il cittadino elettore che - scrivono i giudici - sulla base delle proprie convinzioni ideali o della appartenenza politica, dissenta dalla deliberazione del consiglio comunale attributiva della civica benemerenza ad una personalità che egli ritenga non meritevole dell’onorificenza, ha, a propria disposizione, gli strumenti delle libertà costituzionali, dei diritti fondamentali, della democrazia e del pluralismo, in un contesto che assegna alla loro garanzia, promozione e tutela una dimensione anche internazionale e sovranazionale». Se ce ne fosse bisogno il Supremo consesso ricorda che il cittadino ha «il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, in un sistema che assicura la libertà di stampa e il pluralismo delle fonti di informazione e delle notizie; può sollecitare, con petizioni o campagne di sensibilizzazione, la revoca del beneficio; ha il diritto di riunirsi ed associarsi con altri per collaborare in vista di uno scopo comune; ha il diritto di partecipare attivamente alla vita di un partito o all’azione politica, per concorrere a determinare la politica nazionale o del Comune in cui vive; ha il diritto di esercitare il diritto di voto, che è anche un dovere civico».

I casi estremi per l’intervento del giudice

Tuttavia - avverte il collegio - anche a fronte di una benemerenza conferita per operare esclusivamente sul piano simbolico, non può essere esclusa, in casi estremi, il controllo del giudice nell’ipotesi di conferimento della cittadinanza onoraria ad una persona che sia stata giudicata per crimini che offendono il comune sentire. In tal caso non si tratta di un’interferenza del giudice ma della rimozione di un fatto illecito. La Suprema corte compensa però le spese per «la complessità e la novità della questione trattata»

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