ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùIntervista a Luciano Gualzetti

«Contro il lavoro povero estendere il welfare anche ai collaboratori»

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di Michelangelo Bonessa

Sul territorio. Luciano Gualzetti è direttore della Caritas ambrosiana

4' di lettura

La storia del Fondo Famiglia Lavoro, nato per iniziativa dell’ arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, inizia con la prima grande crisi economica degli anni Duemila e si sviluppa con un’evoluzione che ha portato alla distribuzione di oltre 20 milioni di euro. Successivamente perde il suo carattere emergenziale e si introducono i primi sostegni attivi al lavoro, tra cui 25 interventi di microcredito e decine di corsi di riqualificazione professionale e tirocini. Dal 2016 in poi prende avvio una nuova fase ed anche il Fondo cambia nome in Diamo lavoro e tutte le risorse vengono impegnate per finanziare tirocini lavorativi nelle imprese che hanno sottoscritto un patto di adesione al progetto.

Quest’anno tra coloro che hanno seguito il percorso del Fondo, ben il 48,1%, ovvero 454 persone, hanno trovato un lavoro, per un investimento complessivo della diocesi del valore di 4,2 milioni. Gli impieghi si collocano soprattutto in tre settori: servizi alle imprese (18,3% degli assunti), commercio (14,5%) e ristorazione (12,1%).

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Oggi l’iniziativa della diocesi ha creato una rete territoriale capillare per l’impiego che conta centinaia di centri d’ascolto e decine di collaborazioni con enti e istituzioni pubbliche e private. Numeri che posizionano il Fondo come un’opportunità non solo per i lavoratori, ma anche per le imprese perché i costi del tirocinio degli aspiranti lavoratori sono a carico della diocesi. Come è stato possibile raggiungere questi risultati lo spiega Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana, che avanza anche una richiesta di riflessione alle imprese lombarde.

Direttore molti delle persone che si sono rivolte a voi hanno trovato un impiego nei servizi alle imprese, di che lavori si tratta?

Il fondo ha iniziato le sue attività negli anni passati vivendo diverse evoluzioni, a partire dal 2015 c’è stata più attenzione alla formazione e meno al solo aiuto economico. Per quanto riguarda i servizi alle imprese si tratta di lavori come custode o impieghi nelle imprese di pulizia.

Le persone di cui vi siete occupati in che fascia d’età si trovano?

Abbiamo avuto diversi 50-60enni, ma c’è anche una quota di Neet perché la scelta che abbiamo fatto era di rivolgersi a tutta la famiglia senza distinzioni di età e ogni famiglia ha le sue esigenze specifiche.

Come funziona il percorso istituito dal fondo Diamo Lavoro?

L’idea iniziale del fondo era di intercettare prima le persone disoccupate territorio per territorio, per questo abbiamo diviso il lavoro sulle sette zone pastorali della diocesi di Milano più la provincia di Como; da quel momento in poi una serie di tutor accompagnavano nel percorso di inserimenti lavorativo le persone selezionate per un periodo di sei mesi. Da parte nostra abbiamo fornito un aiuto al tirocinante di 500 euro al mese per tutto il periodo di prova, inoltre i costi amministrativi erano a carico della Diocesi per non gravare sulle aziende.

Come avete trovato le aziende dove inserire i tirocinanti?

Con diversi canali. Il primo sono stati i parroci del territorio che sapevano quali imprenditori potevano avere la necessità di lavoratori, insieme a un gruppo di esperti di lavoro che le andavano a cercare. Inoltre per promuovere questa attività abbiamo creato due volantini, uno rivolto alle imprese e uno ai disoccupati. Abbiamo avviato infine collaborazioni proficue anche con le associazioni come Assolombarda.

Spesso si parla anche di lavoratori occupabili, i vostri tirocinanti erano tutti occupabili?

Sì ma non basta dire che qualcuno senza carichi di cura allora è occupabile, bisogna ragionare sulla persona. Perché c’è anche un tema di educazione al lavoro come l’importanza del rispetto della puntualità. Chi se lo può permettere da solo o ha le competenze se la cava, chi resta indietro è chi è veramente povero di soldi, ma anche
di competenze.

Siete dunque in grado di colmare il gap di competenze?

Sì sappiamo che per l’uscita dalla povertà serve un lavoro, ma per ottenerlo bisogna cercare percorsi meno immediati, spesso è anche un percorso di ricostruzione della personalità e di rapporti: anche molti imprenditori ci hanno ringraziato perché la conoscenza diretta permette di superare i pregiudizi che ostacolano la ricerca
di lavoro.

Cosa pensate di fare nei prossimi anni?

Abbiamo creato questa rete che conta su 400 centri d’ascolto in tutta la Diocesi e continueremo a coltivarla, abbiamo anche attivato collaborazioni con l’Inps per controllare se ci sono pratiche bloccate per pensioni o altro.

Cosa possono fare le imprese per voi?

Noi stiamo affrontando una sfida che è il lavoro povero, non so se sia una questione di salario minimo o altro, ma una volta quando trovavi un impiego uscivi dalla povertà invece oggi c’è una platea di lavoratori che non guadagna abbastanza per vivere nonostante il lavoro. Non ho certezze su come si faccia a rimediare, ma forse una soluzione sarebbe l'estensione del welfare aziendale anche a chi fa parte di servizi esternalizzati: questa è una cosa che chiederei di studiare alle imprese per mettere un limite al fenomeno
del lavoro povero.

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