Controesodo da incentivare, così vantaggi per tutti
Politiche efficaci dovrebbero giocarsi sulla creazione di nuove opportunità lavorative di qualità, offrendo infrastrutture di supporto alla creazione di imprese promosse da expatriates
di Daniele Checchi
2' di lettura
La fuga di cervelli è un fenomeno complesso, in cui il nostro paese ricopre contemporaneamente il ruolo di donatore verso i paesi più ricchi e di ricevente da paesi più poveri. Tra la popolazione 25-34enne perdiamo in misura relativamente maggiore sia laureati sia drop-out senza titolo secondario, perché chi emigra possiede ambizioni elevate oppure tenta la fortuna. Analogamente per l’immigrazione, legale o clandestina, che arriva in Europa: personale qualificato nei paesi di provenienza oppure persone disperate spinte dalle carestie o dai conflitti
Dal punto di vista individuale, la mobilità della popolazione giovane appare desiderabile in quanto offre accesso a migliori opportunità lavorative e redditi più elevati, una parte dei quali viene spesso poi rimpatriata come “rimesse degli emigrati”. Dal punto di vista collettivo, una analisi dei costi e dei benefici della mobilità presenta invece un quadro più complesso. L’uscita di giovani istruiti è una perdita netta di competenze, anche se queste si arricchiscono e si potenziano attraverso l’esperienza lavorativa nei mercati del lavoro esteri.
L’ideale per i paesi invianti sarebbe quello di veder tornare questi giovani in età più matura, arricchiti dell’esperienza e dei network acquisiti all’estero. Di questo beneficerebbero anche coloro che non sono emigrati, per via della ricaduta tecnologica e organizzativa sulle imprese locali. Ma i fattori che hanno spinto i giovani ad emigrare sono anche quelli che li “intrappolano” all’estero: oltre a livelli retributivi più elevati, i giovani capaci all’estero godono di maggior autonomia e ricoprono ruoli di maggior responsabilità decisionale. E quando il desiderio del “bel paese” comincia a mordere, si scontrano con l’inesistenza di condizioni equivalenti nel nostro paese.
Gli ultimi governi hanno cercato di ammorbidire il divario reddituale utilizzando la detassazione temporanea, generalmente poco selettiva, ma non si conoscono valutazioni di eventuali effetti positivi di ricaduta interna in termini di redditi, produttività o di ricerca.
Dal punto di vista sociale, la mobilità dei cervelli presenta quindi costi certi e benefici differenziati, positivi per gli emigrati e incerti per i rimanenti. Eventuali politiche di contrasto non possono basarsi esclusivamente su ostacoli burocratici (come ha fatto il governo britannico dopo la Brexit) o sulla alterazione dei prezzi relativi (come accade con la detassazione), ma dovrebbero giocarsi sulla creazione di nuove opportunità lavorative di qualità, offrendo infrastrutture di supporto alla creazione di imprese promosse da expatriates. Solo per questa strada la fuga di cervelli si tradurrebbe in una situazione win-win per il Paese inviante e anche per quello ricevente.
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