Contromisure ragionate in risposta alla frammentazione delle piattaforme
di Antonio Aloisi e Valerio De Stefano
3' di lettura
Il dibattito sul “lavori tramite piattaforma” ha squarciato il velo di silenzio rispetto alle profonde trasformazioni che stanno ridisegnando il mercato del lavoro. La tentazione di leggere i cambiamenti alla luce di esperienze passate è forte, ma rischia di essere fuorviante. Il caso dei fattorini di Foodora, ad esempio, è spesso paragonato a una vicenda processuale, quella dei pony express, che ha tenuto banco negli anni Ottanta del secolo scorso. Bisogna tuttavia resistere ai “riflessi condizionati” – che spesso si rivelano alibi paralizzanti – e concentrarsi sulla complessità del nuovo cambio di paradigma.
Da un lato, infatti, il modello della Gig economy si inserisce in un contesto ampio di evoluzione del sistema “industriale” che ha il suo perno in tecnologie digitali in grado di ridefinire i modelli di produzione e distribuzione. Inevitabilmente, questi processi implicano una riorganizzazione dei rapporti contrattuali.
Rivolgersi al passato in cerca di soluzioni e fallimenti può essere utile, a patto di considerare un arco di tempo più ampio rispetto agli ultimi decenni. Come agli albori del lavoro capitalistico l’impresa si integrava verticalmente e internalizzava manodopera un tempo dispersa al fine di massimizzare l’efficienza, così oggi, in direzione opposta, i gig worker si trovano al cospetto di una frammentazione di mansioni, contratti, rapporti e identità, che impone contro-misure ragionate. A poco servono i determinismi di ogni segno o le scorciatoie rinunciatarie.
È bene dunque guardare alla questione del lavoro via piattaforma lungo le due dimensioni “classiche” del lavoro, quella individuale e quella collettiva.
Sul primo fronte si segnala, a ragione, un offuscamento delle categorie concettuali e normative di autonomia e subordinazione. O, meglio, uno sconfinamento di aspetti di un tipo contrattuale nell’altro. Da un lato, non si possono considerare monolitiche e immutabili le categorie legali e giurisprudenziali. Dall’altro, è importante non farsi travolgere dalla quantità eterogenea di elementi da ponderare per concentrarsi sul diverso “peso specifico” da attribuire a ciascuno di essi.
Da qui, una prima considerazione: sarebbe opportuno indagare la sussistenza della subordinazione quale assoggettamento al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro nei momenti in cui la prestazione è resa, senza eccedere con la valorizzazione di indici giurisprudenziali, quali la continuità della messa a disposizione delle energie lavorative, sviluppatisi in contesti affatto differenti.
Non va sottovalutato che il management per algoritmi, l’utilizzo della geolocalizzazione e di altri strumenti digitali per dirigere, monitorare e disciplinare la prestazione rendono i ritmi e il controllo sul lavoro effettivamente svolto molto più intensi rispetto al passato.
Il legislatore potrebbe addirittura interrogarsi su una definizione “settoriale” di subordinazione come si è già fatto per il lavoro a domicilio o quello sportivo, con l’obiettivo di evitare che fondamentali protezioni sociali finiscano negate in caso di rapporti artificialmente discontinui. Un intervento in questa direzione avrebbe anche il merito di confermare la logica binaria delle ultime riforme che hanno rafforzato un modello “dentro o fuori la subordinazione”, con particolari aggiustamenti al margine, su cui sono costruite le tutele di natura sostanziale e previdenziale. Il contratto di lavoro subordinato è da sempre un formidabile strumento organizzativo per le imprese e ha già in sé molti dei caratteri di flessibilità che oggi si inseguono con formule precarie e incerte e che alimentano il contenzioso giudiziale.
Sul fronte collettivo, molte iniziative, per ora sparse nel Paese e su tutto il continente, sono già in corso: flash mob, apertura di tavoli di trattative, cause sulla corretta qualificazione dei contratti, ma anche primissimi contratti collettivi, tecniche innovative di solidarietà e strumenti digitali di autotutela.
Una composizione degli interessi in campo potrebbe realizzarsi grazie ai flessibili strumenti della contrattazione collettiva. Tramontate le illusioni dei “lavoretti per arrotondare”, anche alla luce delle statistiche che registrano una transizione verso rapporti alternativi a quelli standard, va inaugurata una fase di negoziati multilivello sui termini contrattuali e le condizioni di lavoro effettive nella filiera delle piattaforme. Conviene quindi evitare derive apocalittiche e fare tesoro di alcuni errori del passato. I sindacati europei, nel quadro di una ritrovata leadership delle istituzioni europee nel “Pilastro sociale”, sono all’avanguardia nella gestione “conflittuale” dei rapporti di forza in trasformazione.
In fin dei conti, più che di discorsi “sulla fine” del diritto del lavoro, c’è bisogno di un costante approfondimento “sui fini” di tutela sociale e di corretto funzionamento del mercato di questa basilare “piattaforma” socioeconomica.
Antonio Aloisi è dottorando di ricerca e professore a contratto di Diritto del lavoro all’Università Bocconi
Valerio De Stefano è professore di Diritto del lavoro all’Università di Lovanio, in Belgio
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