ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùIl vertice di Glasgow

Cop26, un’intesa ai supplementari per rispondere alle sfide del climate change

Diffusa la cover decision del pacchetto conclusivo della conferenza Onu

dal nostro inviato Gianluca Di Donfrancesco

Aggiornato il 13 novembre, ore 11:07

Oxfam protesta: la Terra brucia, bozza Cop26 "troppo fiacca"

4' di lettura

La nuova bozza di pacchetto conclusivo è stata diffusa alle 8:00 del 13 novembre. Poi assemblea plenaria informale tra i rappresentanti dei 197 Paesi partecipanti per arrivare all’approvazione finale. Con molti delegati che hanno già ripreso la via di casa (il vertice doveva chiudere il 12 e non tutti sono riusciti a spostare i voli), altri che stanno facendo le valigie e i padiglioni dello Scottish Event Campus in disarmo, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima si avvia alle battute finali, dopo due settimane di trattative, promesse, annunci, contestazioni.

Sono in discussione anche le bozze aggiornate del pacchetto conclusivo, i temi al cuore del processo Cop, come mercato globale delle emissioni di CO2, regole per il monitoraggio e la verifica degli impegni di riduzione dei gas serra, aiuti a i Paesi in via di sviluppo.

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Non ci sono passi indietro rispetto all’accordo di Parigi. Un obiettivo minimo, non certo esaltante, eppure nemmeno scontato alla vigilia del vertice. Ma sarebbe resa imperdonabile e a nessun Paese piace essere additato come il responsabile. I progressi, invece, sono incrementali e rimandano alle future Cop, a partire da quella di Sharm el-Sheikh l’anno prossimo. Resta all’attivo la dichiarazione congiunta Usa-Cina, uno spiraglio nel gelo delle relazioni tra le due superpotenze.

Decisioni e raccomandazioni

Tutto sarà raccolto sotto l’ombrello della cover decision, «l’albero di Natale», come la chiamano i negoziatori, appesa alla quale ci sono impegni più o meno stringenti, ma comunque delicati, come l’accelerazione dello stop al consumo di carbone o ai sussidi ai combustibili fossili, con un linguaggio che può sembrare blando, ma più che sufficiente a sollevare le resistenze dei Paesi più dipendenti dalle fonti inquinanti (Cina, Russia, India, Australia).

E ci sono le raccomandazioni a tagliare i gas serra del 45% entro il 2030, per arrivare allo “zero netto” «attorno a metà secolo». Lo stesso linguaggio usato nel G20 di Roma: un compromesso per tenere insieme chi punta al 2050 (Ue, Usa, Giappone, Regno Unito, tra gli altri) e chi ha tempi più lunghi, come Cina, Russia, Arabia Saudita (2060) e India (2070) e che si attira le critiche di Ong e ambientalisti. I Paesi, soprattutto quelli che hanno piani climatici considerati insufficienti, saranno spinti ad aggiornare i propri target nel 2022.

Quanta fatica sul fondo ai Paesi in via di sviluppo

Un tema di particolare attrito, anche in prospettiva e al di là del risultato della Cop26, è quello degli aiuti ai Paesi in via di sviluppo. Nel 2009, le economie avanzate si erano impegnate a mobilitare 100 miliardi di dollari l'anno a favore di quelli a basso reddito. Ci si doveva arrivare nel 2020, ma ci si è fermati sotto i 90 (83-88 secondo l'Ocse). La somma potrebbe essere raggiunta nel giro di uno o due anni e forse superata nei successivi. Timmermans, ha definito «deludente» il comportamento dei Paesi avanzati. «L'Unione Europea dà già ora 27 miliardi di dollari - ha detto - ed è pronta a esplorare la possibilità di sforzi ulteriori».

È una questione di fiducia, come ormai riconoscono tutti. E come grida a gran voce il gruppo dei Paesi in via di sviluppo e con frustrazione palpabile i rappresentanti degli Stati insulari, quelli in prima linea sul fronte del climate change, insieme alle nazioni a basso reddito, le meno attrezzate per affrontare la transizione energetica e sostenere i danni del globale warming.

«Si tratta spesso di Paesi che oggi spendono 5 volte di più per il servizio del debito che per i finanziamenti per il clima e che sono in pericolo di crisi del debito, in un contesto già segnato dalla pandemia», ha detto in una intervista al Sole 24 Ore Laurence Tubiana una degli architetti dell’Accordo di Parigi del 2015 e direttrice della European Climate Foundation.

Venerdì 12, Unione Europea e Italia, co-presidente della Cop a guida britannica, stavano provando a mettere insieme una proposta che prevederebbe l’utilizzo dei diritti speciali di prelievo (Sdr) del Fondo monetario internazionale. Ad agosto l’Fmi ha emesso Sdr per 650 miliardi di dollari per rispondere all’emergenza Covid.

Si prova anche a far partire una sorta di «Dialogo di Glasgow» per aiutare economicamente i Paesi più vulnerabili a far fronte ai danni già sostenuti a causa del cambiamento climatico.

La borsa della CO2

Passi avanti sono possibili sul mercato globale delle emissioni di CO2. Sono poste sul tavolo soluzioni ad alcuni dei maggiori punti critici, comprese le regole sulla contabilizzazione, per impedire che lo stesso credito di CO2 sia conteggiato sia dal Paese “virtuoso” (perché avanti con i propri target) che lo cede, sia da quello che lo compra.

Sui ricavi delle transazioni verrà applicata una trattenuta, da devolvere ai Paesi in via di sviluppo, per aiutarli all’adattamento al climate change. In vista un compromesso anche sui crediti pre-2020, generati dalle regole del Protocollo di Kyoto, con uno sbarramento per quelli precedenti al 2013.

I lavori sono insomma ancora in corso su un capitolo dell’accordo di Parigi (l’articolo 6), rimasto ancora inattuato.

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