Coppie creative: le nuove formule di sodalizio nascono dopo lunghi percorsi indipendenti
Miuccia Prada e Raf Simons, Helmut Lang e Anthony Vaccarello, Alessandro Sartori e Jerry Lorenzo, Pier Paolo Piccioli e Craig Green: nel design come nella moda, lavorare insieme funziona da acceleratore alle singole visioni.
di Silvia Paoli
6' di lettura
What is the Prada-ness? Che cosa è l'essenza di Prada? 24 settembre 2020. La domanda campeggia proiettata su una parete ed è rivolta, per la prima volta, non solo a Miuccia Prada, ma anche al suo co-direttore creativo, lo stilista belga Raf Simons. L'immagine di Prada, la cui nuova collezione co-firmata era appena sfilata, si è sdoppiata e lo specchio rimanda a lei e anche al suo alter ego. La risposta è ovviamente doppia: perché la stilista è Prada, mentre Simons è colui che Prada ha osservato da fuori per anni, potendone elaborare concettualmente l'idea. Sofismi a parte, l'incontro di questi due nomi e del loro carisma, delle loro visioni estetiche ben definite e mature, ha magnificato e reso meno volatile la collaborazione creativa che, nella moda, ha assunto nel tempo diverse formule e finalità (e tante espressioni: dall'& commerciale per le unioni fondative, al “+”, al “per”, per le cosiddette collab), e che in questo caso è stata definita da un “con” che prelude a un percorso da fare insieme.
Il sodalizio creativo non è nuovo nella moda, come nell'arte o nel design. Il coreografo George Balanchine ha avuto bisogno di muse sempre diverse (che diventavano anche mogli sempre diverse) sulla cui personalità e talento costruire balletti, oggi capisaldi della danza classica. Charles Eames diceva della moglie Ray, con cui ha disegnato e reso imprescindibile il modernismo nell'arredamento americano: «Ray può fare tutto quello che faccio io e lo fa anche meglio». In realtà la sua formazione da architetto si arricchiva della finezza dei dettagli e delle smussature al rigore introdotte dalla moglie, un'artista prima che una designer. L'ispirazione o l'intuizione creativa nascono sempre da un dialogo, anche quando il creativo è da solo. Tra il sé cosciente e il sé immaginifico, tra la razionalità e il talento si apre un contenzioso, una conquista reciproca che porta alla definizione del proprio stile.
Di questa doppia anima vive la creatività. Ecco perché essere creativi in due sembra essere la quadratura del cerchio. «Van Doesburg mi ha trasformato sia dentro che fuori. Può tirare fuori il meglio da tutte le cose e le persone che lo circondano. Poteva risvegliare e modificare quelli intorno a lui. È riuscito a farlo con la mia personalità», ha scritto nelle sue memorie Nelly van Doesburg, ballerina, artista e personalità del movimento Dada, del suo rapporto con Theo, suo marito e fondatore con Piet Mondrian della rivista De Stijl. Non è dunque strano che nel design come nella moda, le coppie costituiscano sodalizi artistici che prendono forma proprio dal reciproco stimolo e confronto, un po' come se l'uno facesse da acceleratore della sintesi creativa dell'altro. E dunque la visione estetica prendesse forma compiuta in modo più rapido e “indolore” che se il percorso fosse affrontato in solitaria. Eppure, anche quando si è raggiunto l'apice, ci può essere ancora la possibilità e la volontà di andare avanti, portare a uno stadio successivo la propria vocazione, a volte scardinarla, per rifondarla su diverse basi.
Incontri tra simili o incontri tra opposti, la chimica delle affinità elettive funziona in entrambi i sensi. Miuccia Prada e Raf Simons si conoscono da tempo: nel 2005 e per più di dieci anni Simons è stato direttore creativo di Jil Sander (allora del gruppo Prada), per poi passare a Dior e dopo ancora a Calvin Klein. Condividono una passione per l'estetica di metà Novecento, per le uniformi (Miuccia Prada: «Per me è qualcosa che ti rende capace di pensare e che non deve distrarti. Devi sentirti bene per poter pensare»), per i materiali di nuova generazione e quella certa “nostalgia per il futuro” che ben descrive – senza descriverla affatto – l'estetica di entrambi. Incontro tra estremi (di stile, di esperienza, di formazione) è quello tra Alessandro Sartori di Ermenegildo Zegna e Jerry Lorenzo del brand Fear of God, da cui nasce la collezione Fear of God exclusively for Ermenegildo Zegna, lanciata lo scorso settembre. «Questa collaborazione è il risultato di due menti creative che hanno lavorato e pensato con la stessa voce. Il mix perfetto dell'eccellenza sartoriale di Ermenegildo Zegna e dal leisurewear sofisticato di Fear of God», raccontano alla stampa. Per far dialogare in un unico idioma il lusso americano contemporaneo e 110 anni di eccellenza nella moda uomo, c'era bisogno di dar vita a una lingua nuova, e per fondarla la strada è stata quella di decriptarne i codici e condividerli per creare qualcosa che, difatti, si propone anche di non aver genere, dunque essere maschile e femminile (un inedito per Zegna), andando oltre le abituali strutture di pensiero e di prodotto.
C'è comunque bisogno di un dialogo anche per rinfrescare la propria lingua. Per inserire neologismi e incognite creative. E per celebrare in questo modo un anniversario, dunque il passato, dandogli un sapore inedito. I dieci anni dell'introduzione della rock stud, la borchia degli accessori Valentino Garavani, quasi un logo per la riconoscibilità mondiale, sono l'occasione per Pier Paolo Piccioli, direttore creativo della maison (lo è stato a lungo con Maria Grazia Chiuri, prima che la stilista fosse nominata direttore creativo donna a Dior, in un dialogo molto proficuo), per attivare il progetto Valentino Garavani Rockstud X (sta per dieci in numeri romani, ma anche come incognita di un'equazione che darà sempre risulati diversi), un “laboratorio” in cui si succederanno differenti designer, di cui il primo è il britannico Craig Green. Nell'annuncio al mondo (via Instagram), la partecipazione di Craig Green viene descritta come un'interazione (letteralmente reciproca influenza, meccanismo di azione e reazione, non è questo il funzionamento interno ed esterno della creatività?) e lo stile del designer inglese una “summa di bellezza e umiltà, con sempre un punto di vista funzionale che si confronterà con i codici storici della maison”.
Pier Paolo Piccioli punta ad alimentare la conversazione col proprio daimon (lo spirito creativo) confrontandosi anche personalmente con altre sfide, come quella intrapresa con Levi's di cui ha ripensato il modello 517, originale del 1969, che ha incluso nella sfilata di settembre 2020. «La risignificazione è un'operazione concettuale su cui il direttore creativo di Valentino lavora da molto tempo e consiste nel dare nuovi valori a simboli, idee, luoghi e atmosfere che arrivano da diversi momenti storici, ma che rimangono rilevanti nello scenario contemporaneo», raccontano. È significativo che la parola risignificazione appartenga in realtà all'ambito psichico e che, nel dizionario medico, venga descritta come un'operazione di rilettura delle vicende personali, dei propri ricordi, per dare nuovi significati a eventi appartenuti al passato. E se da soli il ri-significare può essere arduo per la tendenza a replicare se stessi, in due può risultare più stimolante, e più facile, anche se più lento per la necessità di comunicare e comprendersi a fondo.
Per quanto il suo nome risuoni ancora nella moda come un riferimento imprescindibile, icona del minimalismo, lo stilista austriaco Helmut Lang ha intrapreso da tempo (sono 15 anni) la carriera artistica, dedicandosi alla scultura. Ha anche distrutto il suo archivio di abiti, o meglio quello che ne era rimasto dopo un incendio, riducendolo a pezzi e impastandone i resti con resina e creando delle sculture. Più che una risignificazione del suo passato la sua è stata una rifondazione. Il fascino esercitato da Lang sulla generazione di designer come Anthony Vaccarello, direttore creativo di Saint Laurent, è così forte che Vaccarello ha proposto e Lang ha accettato una collaborazione, incentrata sulla sua arte. La Helmut Lang x Anthony Vaccarello for Saint Laurent Rive Droite è una serie di sculture realizzate con scarti di produzione (gioielli non finiti, tessuti non utilizzati) delle passate collezioni di Saint Laurent, triturati, mescolati a resina e colati in stampi di alluminio. Alti tubi materici in cui si scorge il logo Ysl e altri dettagli rivelatori sotto strati di resina più che una rilettura propongono una trasformazione del passato, come upcycling e upgrading, ma sono anche una testimonianza, un memento che riguarda anche quanto e come si produce nella moda e quanto sia necessario che le cose «prendano una nuova forma», come ha dichiataro Vaccarello. L'aspetto ruvido, industriale, ma anche bitumizzato ha trasformato il glamour della moda in dolmen post-industriali, facendo un'operazione inversa a quella che Lang, come ha detto Vaccarello, aveva fatto con la sua moda. Allora «come Coco Chanel, aveva portato la realtà nella moda», oggi la moda l'ha trasformata in realtà: brutalista, magmatica, tridimensionale. Questo dialogo ha sicuramente alterato e spinto la creatività di entrambi, definendo nuovi riferimenti per la propria diversa attività espressiva. Ps. Alla fine, alla domanda sulla Pradaness, Raf Simons ha risposto che non saprebbe definirla esattamente. Ma che c'è, e si sente. A riprova che la creatività è un viaggio, e non un punto di arrivo.
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