Corbu e Titino, l’arte travestita da amicizia
di Stefano Salis
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Due bambini giocano con la sabbia fina della spiaggia di Long Island, una boccata d’aria fuori New York. È primavera, anni 50, vento e sole; un cappellino e un maglioncino bastano, per il resto, pantaloncini corti e piedi nudi. A vederli meglio, ecco, sì, direste che sono uomini belli e fatti, sugli “anta”, anzi; ma dei bambini conservano lo sguardo, lo stupore, la creatività innata. Certo: loro, in più, hanno la consapevolezza che il “gioco” si trasforma presto in qualcosa di più alto: arte, allo stato puro. Costantino “Titino” Nivola (1911-1988) e Charles-Édouard Jeanneret-Gris, al secolo Monsieur Le Corbusier (1887-1965), forse il più grande architetto del Novecento, si sono conosciuti qualche anno prima, in città, al Ristorante Del Pezzo, quando “Corbu” segue i lavori del nascente Palazzo di Vetro. E, da quel momento, diventeranno amici, nel nome dell’arte, dell’architettura, della famiglia, dei sacri valori che durano. Tutte le volte che potranno si incontreranno e i «Nivolas» saranno un riferimento americano per Le Corbusier (come ha ricostruito in un saggio fondamentale Maddalena Mameli in Le Corbusier e Costantino Nivola. New York 1946-1965, Franco Angeli, nuova edizione, pagg. 182, € 23,50). In alternativa , e per sempre, il contatto epistolare (e le lettere sono pubblicate nel volume di Mameli).
La casa delle vacanze dei Nivola, ad Amagansett, in quegli anni, del resto, è la perfetta incarnazione di quello stile brillantemente descritto da Alastair Gordon in Weekend Utopia. Modern Living in the Hamptons (Princeton Architecural Press, 2001), dove infatti la casa Nivola, con le foto dei picnic, dei bambini, delle opere d’arte in giardino e negli interni, troneggia. La frequentano, tra gli altri, Jackson Pollock, Lee Krasner, William de Kooning, Mark Rothko, il fotografo Hans Namuth, che immortalerà quei momenti, Bernard Rudofski, che aveva disegnato con Titino il giardino, e, ovviamente, Saul Steinberg, altro amico del cuore e vicino di casa. È uno scambio di idee, passioni, discussioni, affetto. Di arte. E il concetto di «moderno» torna, non a caso, nella eccellente mostra «Le Corbusier. Lezioni di modernismo» al Museo Nivola di Orani, paese natale dell’artista sardo (fino al 17 marzo, a cura di Giuliana Altea, Antonella Camarda, Richard Ingersoll, Marida Talamona). Chi dà lezioni a chi è difficile stabilire. Se, prima o poi, il Museo Nivola doveva rendere omaggio a questa speciale amicizia – una lunga fedeltà, quasi una devozione, che Titino ammetterà sempre senza remore di avere nei confronti del maestro francese, dall’altro, proprio il capitolo delle sculture con la sabbia, il sand casting inventato e poi perfezionato da Nivola (calco in gesso da una matrice in sabbia), è la testimonianza che anche Nivola, con la sua arte, ha stupito, insegnato e magari contribuito a disvelare a Corbu altre caratteristiche della materia. L’esperienza di quelle sculture di sabbia è riportata, in mostra, da due bronzi tratti da sandcast oggi perduti, uno dei quali raffigura la mano aperta, simbolo di pace, prosperità e comunione tra gli uomini; e non è certo un caso che avessero, insieme, pensato a quell’immagine.
Ma la mostra di Orani si concentra soprattutto su uno degli aspetti meno noti (ma non meno importanti, e lui stesso, nelle lettere all’amico sardo, non mancherà di tacerlo) dell’opera di Le Corbusier: i disegni. Da un corpus di oltre 300 opere, i curatori ne hanno selezionati 64, riunendo per la prima volta i segmenti della raccolta oggi divisa tra Europa e America. Disegni che erano, per Le Corbusier, «una riserva di immagini» (come spiega Giuliana Altea) «cui attingeva non solo per i dipinti ma anche per gli arazzi e le pitture murali, in accordo con quell’idea di “sintesi delle arti”, di fusione fra arte e architettura, così importante nella sua opera». E in quella di Titino.
Tra quelli in mostra, ecco quelli che hanno per tema la “donna con la candela”, Yvonne, moglie di Le Corbusier, che diventa icona dell’artista-architetto: la serie di disegni, eseguiti a New York, prepara un gruppo di dipinti seminali dallo stesso titolo, tra cui spicca la splendida tela (Femme à la bougie I, datata Vezelay 39-New York nov 46) poi regalata a Nivola e recentemente venduta all’asta da Sotheby’s e quotata 1,7 milioni di dollari. Ed ecco i disegni preparatori dello splendido murale su due pareti che Corbu farà nella casa agli Hamptons nel settembre 1950: il vero centro della casa (scriverà una volta la moglie di Titino, Ruth, a Corbu), il «più bel regalo della nostra vita» gli dice subito e definitivamente Nivola. La relazione feconda tra gli artisti non era soltanto una calda amicizia: tra le lezioni di modernismo rientra certo una nuova percezione dello spazio che Le Corbusier fa approfondire a Nivola, dalla quale l’artista sardo troverà il modo di “interessare” all’architettura le sue sculture: l’approdo dei sand cast al negozio Olivetti sulla Quinta Strada o alle facciate di Hartford è anche questo.
Nel giugno 1951 la rivista «Look» dedica alcune pagine a Nivola, «The Sandman»: l’uomo della sabbia. La «spiaggia assolata» è definita da Nivola «lo studio perfetto dello scultore: salutare, buona luce, affitto basso». Non è uno scherzo, né solo una frase a effetto giornalistico: è a partire da quella sabbia che Nivola, partito maistu ’e muru di Orani, avrebbe contribuito alla migliore arte (americana, italiana, sarda, universale) dei suoi anni e del futuro. Le Corbusier lo aveva colto subito. Scriverà nel 1954: «Nivola ha realizzato magnifiche sculture su sabbia. Dove diavolo è andato a trovare lo stile innegabile che anima le sue opere? È un figlio della Sardegna, isola lasciata al riparo dalle brame macchiniste. Devono esservi in quest’isola le tracce delle più antiche civiltà e Nivola ha certamente aperto gli occhi al momento giusto». E così Antine ha visto il millennario Mediterraneo che portiamo in noi, grande madre, ha sottratto la sabbia allo sciacquìo infinito del mare: perché sapeva che l’uomo è sabbia impastata con il mare, il vento, il sole, fragile e immortale a un tempo. E, in quelle sculture, ha soffiato l’anima dell’arte. Lezione, stavolta, di eternità.
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