Corea: Park verso l'interrogatorio, elezioni il 9 maggio
di Stefano Carrer
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TOKYO – dal nostro corrispondente
L'ex presidente della Corea del Sud, Park Geun-hye - destituita venerdì scorso - ha ricevuto oggi un ordine di comparizione per un interrogatorio fissato il prossimo 21 marzo: questa volta non potrà rifiutare, come aveva fatto ripetutamente finchè ha mantenuto il ruolo di capo dello Stato.
I magistrati che indagano sullo scandalo politico-affaristico che l’ha travolta non intendono mollare la presa, ora che Park ha perso l'immunità che era connessa alla più alta carica istituzionale, e oggi hanno avviato indagini anche sui gruppi industriali Lotte e SK, sospettati di coinvolgimento in transazioni illegali forse riconducibili alla presidente. Ora la Park, 65 anni, è ad alto rischio di incriminazione per corruzione e abuso di potere, anche se non è chiaro quali saranno gli sviluppi del suo ormai scontato caso giudiziario: o in accelerazione oppure in sostanziale rinvio al periodo post-urne per evitare gli inconvenienti dell'interferenza del procedimento con la campagna elettorale. Le elezioni devono tenersi entro 60 giorni: secondo quanto anticipato oggi dall'agenzia Yonhap, le urne saranno aperte il 9 maggio.
Ieri il presidente facente funzioni, il primo ministro Hwang Kyo-ahn, ha respinto le dimissioni offerte da alcuni membri dello staff presidenziale, citando l'esigenza di non creare un vuoto di potere in un momento molto delicato sul fronte economico e della sicurezza nazionale. Sono in corso le annuali grandi manovre congiunte delle Forze armate sudcoreane ed americane: come al solito, la Corea del Nord coglie l'occasione per inasprire le sue minacce. Inoltre la Cina ha avviato un semi-boicottaggio economico - focalizzato per ora sul turismo e sugli scambi culturali - in quanto furiosa per l'avvio del dispiegamento nella penisola dell'avanzato sistema antimissilistico statunitense THAAD. Hwang ha annunciato oggi che non si presenterà come candidato alle presidenziali.
Un mesto tramonto politico - Cresciuta nella Blue House come figlia di un presidente-dittatore durato quasi un ventennio, Park Geun-hye lascia il centro del potere a Seul in pubblica disgrazia, come il primo capo di Stato eletto democraticamente ad essere destituito, con un impeachment votato da oltre due terzi dell'assemblea nazionale confermato venerdì scorso all'unanimità dalla Corte Costituzionale. Una cacciata, in fondo, anche a furor di popolo, che da mesi le manifesta contro in imponenti manifestazioni di massa.
Eletta nel dicembre 2012, aveva promesso di essere la “madre della Nazione”, in quanto non sposata e senza figli. Ma, secondo le parole impietose della presidente facente funzioni dell'Alta Corte, Lee Jung-mi, ha “tradito la fiducia del popolo” con parole e opere contro le leggi e la Costituzione.
A rovinarla è stata una donna spregiudicata, che ha approfittato della sua amicizia per interferire nell'azione di governo e conseguire indebiti vantaggi personali: Choi Soon-sil, 61 anni, considerata una specie di Rasputin e sospettata di avere in pugno la presidente anche per via di presunti poteri sciamanici.
Con l'immunità, Park perde anche il diritto alla pensione pari al 95% circa dello stipendio: la normativa locale non prevede che lo Stato versi emolumenti a ex capi di Stato e di governo caduti in disgrazia.
La Corte Costituzionale, peraltro, ha lasciato cadere alcuni dei 13 capi di accusa votati dal Parlamento, tra cui ad esempio i presunti abusi di autorità nel silurare funzionari non favorevoli alle pretese dell'amica o le mosse contro contro la libertà di espressione e la negligenza nella gestione del caso dell'affondamento del traghetto Sewol (le sette ore di assenza della Park al culmine di quella tragedia nazionale avevano dato adito alle ipotesi più fantasiose e infamanti).
Tuttavia i supremi giudici hanno riconosciuto che la presidente ha avuto una parte attiva nel portare a conoscenza dell'amica, cittadina privata, documenti riservati e di aver in sostanza colluso con le sue illegali attività affaristiche, in particolare l'ottenimento di ampi finanziamenti a due fondazioni da lei controllate da parte di grandi aziende del Paese.
Scandalo ramificato - Per queste vicende è finito in carcere preventivo per la prima volta nella storia del Paese il leader di fatto di un “chaebol”, anzi proprio quello del più grande conglomerato sudcoreano: Jay Y. Lee, capo di Samsung, il cui destino giudiziario sarà condizionato dalla caduta della presidente. Non è chiaro, però, in che senso: potrebbe aggravare la sua posizione ma forse anche alleggerirla se passerà la tesi delle insostenibili pressioni presidenziali di cui Samsung sarebbe stata vittima e non parte attiva in una logica di scambio di favori (soldi per l'amica della Park in cambio del via libera del Fondo pensione governativo e delle autorità di regolamentazione a una controversa fusione tra affiliate Samsung da cui la presa della famiglia Lee sul gruppo è uscita rafforzata). Oltre a Samsung, altri conglomerati sono nel mirino.
Dopo l'annuncio della destituzione, ci sono stati scontri di piazza a Seul tra dimostranti e polizia, con i sostenitori della Park in particolare agitazione: tre loro sono morti (non è escluso il suicidio). Altri manifestanti sono rimasti feriti. Così è stato offuscato il primo cambio traumatico di amministrazione avvenuto nel rispetto delle leggi nella non troppo anziana democrazia sudcoreana.
Hwang Kyo-ahn ha lanciato un appello alla calma e all'unità nazionale, promettendo la neutralità del governo nella gestione delle elezioni. Moon Jae-in, candidato presidenziale di centrosinistra già in passato, è in vantaggio nei sondaggi, ma la partita elettorale è ancora tutta da giocare e potrebbe generale sorprese all'insegna del populismo. Le cui ventate sono evidenti anche in Corea del Sud, che sta vivendo una sua stagione da “Mani Pulite”, tra esasperazione collettiva per le tradizionali collusioni tra politica e affari e forti richieste di cambiamenti sistemici sia nel settore pubblico sia in quello privato. Il tutto in una atmosfera sociale di crescente insicurezza, dove i timori per l'economia prevalgono su quelli per le minacce nordcoreane.
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