Coronavirus, carceri ancora sovraffollate: crescono i contagi
Al 31 marzo sono 57.846 i detenuti in Italia rispetto a una capienza regolamentare di 50.754. Sono 178 gli operatori di polizia penitenziaria contagiati e 58 i detenuti. A preoccupare è soprattutto la situazione del penitenziario di Torino.
di Andrea Gagliardi
3' di lettura
Le carceri italiane restano sovraffollate. E aumentano i contagi. Al 31 marzo, secondo i dati del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) sono 57.846 i detenuti in Italia rispetto a una capienza regolamentare di 50.754. Sinora sono usciti dagli istituti penitenziari circa 4mila detenuti , troppo pochi anche secondo il Garante nazionale delle persone private della libertà Mauro Palma, che invoca da tempo
interventi «ben più decisi»
Contagi in crescita tra polizia penitenziaria e detenuti
Anche perché secondo gli ultimi dati del Dap sono 178 gli operatori di
polizia penitenziaria contagiati (18 ricoverati in ospedale, una ventina in quarantena in caserma e il resto in isolamento a casa propria) e 58 i detenuti. A preoccupare è soprattutto la situazione del penitenziario di Torino, dove è concentrato il numero più consistente di casi tra i reclusi. Se nel loro complesso le cifre restano contenute, colpisce che in due giorni il dato dei detenuti positivi sia cresciuto di un terzo. Si è passati dai 37 contagiati registrati il 6 aprile ai 58 dell’8 aprile.
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Il caso di Torino
A far fare un balzo in avanti alla cifra complessiva sono stati i positivi scoperti nel carcere di Torino, dove a causa di un sospetto contagio, sono stati sottoposti a tampone 60 detenuti: a 19 di loro è stata riscontrata la positività, un dato che porta a 23 i contagiati da Covid-19 alle Vallette. Secondo il Dap, non vi sarebbero al momento rischi di ulteriori contagi, poiché su indicazione del sanitario dell’istituto, sono state predisposte misure per separare i detenuti in tre gruppi: i positivi, chi ha avuto
contatti con loro e che perciò è stato posto in isolamento precauzionale, e i negativi. Nei giorni scorsi giorni, per altri sette detenuti era scattata la detenzione domiciliare: il magistrato di sorveglianza di Torino aveva ritenuto il loro stato di salute incompatibile con il carcere.
Braccialetti elettronici insufficienti
Ma la situazione in Italia resta nel complesso preoccupante. Lo stesso Csm negli scorsi giorni ha avvertito come l'indisponibilità di un effettivo domicilio per molti detenuti e, soprattutto, la carenza di braccialetti elettronici (sono 5 mila quelli messi a disposizione, ma solo una parte è stata attivata) a cui è subordinata la detenzione domiciliare per chi deve scontare pene residue sino a 18 mesi, rischia di rendere inadeguati i provvedimenti. In particolare la misura del braccialetto elettronico è giudicata insufficiente da tanti tra gli addetti ai lavori: magistrati di sorveglianza, Consiglio superiore della magistratura, Unione delle Camere penali ,il sindacato dei dirigenti della polizia penitenziaria e le associazioni impegnate nelle carceri.
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Antigone e radicali: liberare almeno 10mila persone
«Tutti gli esperti italiani e internazionali - ha dichiarato Patrizio
Gonnella, presidente dell'Associazione Antigone che si batte per
i diritti in carcere - hanno chiesto e chiedono misure urgenti e straordinarie per ridurre drasticamente il sovraffollamento. Misure - ha aggiunto - che creino spazio fisico, misure utili ad assicurare il distanziamento sociale». Secondo Gonnella «c'è bisogno di liberare 10 mila persone almeno, anche perché sempre più sono gli operatori e i poliziotti costretti a stare a casa in quanto risultati positivi». Dunque, conclude Gonnella «si liberino tutti coloro che sono a fine pena, a prescindere dalla disponibilità dei braccialetti elettronici».
Richiesta simile da parte di Riccardo Magi, deputato di Radicali +Europa, e Giulia Crivellini, tesoriera di Radicali Italiani. «È necessario agire - dicono - affinché vengano fatte uscire almeno altre 10mila persone in tempi rapidi. Sono circa i 20mila detenuti che scontano una pena inferiore a tre anni per reati non gravi e che potrebbero essere messi subito ai domiciliari, almeno fino alla fine dell'emergenza».
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