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Coronavirus, cosa è lo smart working e la cassa integrazione su cui punta il decreto per le imprese

Il Dpcm in vigore dal 23 febbraio, in tema di coronavirus, fa esplicito riferimento a questi due istituti lavoristici, utilizzabili proprio per limitare i disagi ad aziende e lavoratori coinvolti in questa fase di emergenza epidemiologica

di Claudio Tucci

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3' di lettura

Ordinanze prefettizie e regionali, e da ultimo il Dpcm in vigore dal 23 febbraio, in tema di coronavirus, fanno esplicito riferimento a due istituti lavoristici, vale a dire lo smart working e la cassa integrazione guadagni, utilizzabili proprio per limitare i disagi ad aziende e lavoratori coinvolti in questa fase di emergenza epidemiologica. Il Dpcm (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri) in particolare, per le zone di Lombardia e Veneto, nel far riferimento allo smart working ne prevede l’applicazione automatica «ad ogni rapporto di lavoro subordinato nell’ambito di aree considerate a rischio». Ma in dettaglio di che cosa parliamo?

Cos’è lo smart working
Lo smart working, chiamato anche lavoro agile, é entrato nel nostro ordinamento con la legge 81 del 2017, la cosiddetta “legge Del Conte”. Lo smart working, a differenza del telelavoro, è configurato dal legislatore come una «modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato» che consente al lavoratore di operare da remoto con l’utilizzo di strumenti tecnologici per svolgere la propria prestazione, percependo la stessa retribuzione dei colleghi che svolgono la stessa mansione dall’interno dell’azienda.

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I numeri
Oggi, in base alle periodiche rilevazioni dell’Osservatorio del politecnico di Milano, sono circa 570mila i lavoratori coinvolti dallo smart working. In genere si prevedono 4 giornate al mese o 2, mentre le aziende che lo hanno avviato da più tempo consentono un maggior numero di giornate per il lavoro da remoto (nel 17% dei casi non c’è alcun vincolo a priori).

Accordo individuale
Il lavoro agile si basa su accordi individuali tra il datore di lavoro e il lavoratore, che possono avere origine da un accordo collettivo o da un regolamento interno che disciplinano alcune modalità di svolgimento, ad esempio se il lavoro agile può essere svolto solo da casa o da luoghi di coworking, o anche in spazi pubblici aperti, o quali sono le fasce di reperibilità. Ci sono alcuni contratti nazionali che lo prevedono, ma trattandosi di uno strumento organizzativo, lo smart working è tipicamente regolato a livello aziendale.

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Esecuzione della prestazione da remoto
Sempre in base alla legge 81, la prestazione lavorativa in smart working va eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale previsto dalla legge e dalla contrattazione collettiva. L’accordo individua i tempi di riposo del lavoratore, che ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali.

La cassa integrazione
L’altra misura richiamata dai provvedimenti di urgenza e da ultimo anche dalla ministra del Lavoro Catalfo, è la cassa integrazione, o meglio la cassa integrazione ordinaria. È stata la stessa Catalfo a spiegare il senso della misura: «Trattandosi di un evento imprevedibile, qual è questo, non c’è bisogno di una norma ad hoc. La Cigo è infatti un primo ma tempestivo intervento che possiamo mettere in campo».

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Emergenze temporanee
La Cigo infatti serve per le emergenze temporaee e integra o sostituisce la retribuzione dei lavoratori a cui è stata sospesa o ridotta l’attività lavorativa per situazioni aziendali dovute a eventi transitori e non imputabili all’impresa o ai dipendenti, incluse le intemperie stagionali e per situazioni temporanee. Per ciascuna unità produttiva, dopo la riforma del 2015, il trattamento ordinario, e quello straordinario, non possono superare la durata massima complessiva di 24 mesi in un quinquennio mobile.

Per approfondire:
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