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Coronavirus, i mercati chiedono alle Banche centrali il vaccino (che non hanno)

Ormai le attese sono per almeno due tagli dei tassi da parte della Federal Reserve entro fine 2020 e ulteriori misure di stimolo Bce. Ma serviranno?

di Maximilian Cellino

(REUTERS)

3' di lettura

Il mondo deve superare la crisi finanziaria più profonda del secolo dopo il crack Lehman? Ci pensano le banche centrali, Federal Reserve americana in testa. L’Europa vuole evitare l’implosione dell’Ue, arginare la crisi del debito o provare a uscire da una stagnazione che rischia di diventare secolare? Tocca sempre alla Bce togliere le castagne dal fuoco. Nessuna sorpresa quindi se nel momento in cui la minaccia coronavirus si diffonde ben al di fuori della Cina e mette a rischio l’economia globale il pensiero degli investitori vada d’istinto a chi muove le leve della politica monetaria.

Sui mercati la lezione dell’uovo di Peter Lynch

Treasury e Bund: abituali beni rifugio...
In effetti è proprio un fenomeno simile che si è visto negli ultimi giorni di tensione assoluta sui mercati: alle vendite senza freni che hanno affossato le Borse si sono infatti aggiunti gli acquisti sui titoli di Stato dei principali Paesi avanzati, anche in questo caso con poche remore. Certo, per i Treasury Usa (dove il rendimento decennale è sceso addirittura all’1,33% intorno ai minimi storici) e per i Bund tedeschi (di nuovo a -0,50%) si può pensare al classico richiamo dei beni rifugio e la regola è purtroppo «confermata» dall’eccezione del BTp di casa nostra, i cui tassi sono invece purtroppo risaliti riportando lo spread alla soglia dei 150 punti base.

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...ma anche strumento di pressione su Fed e Bce
Non c’è dubbio però che movimenti in questa direzione e di tale misura mostrino come ancora una volta si finisca per confidare nelle mosse salvifiche delle Banche centrali e si cerchi quindi di creare pressione su chi le governa. La riprova è che negli ultimi giorni le probabilità implicite calcolate da Bloomberg sui tassi Usa scontano di nuovo due tagli Fed da 25 punti base entro fine anno, e una probabilità del 40% per un’ulteriore sforbiciata di ugual misura. Per la Bce non si arriva a tanto, visto che i tassi sono già da tempo sotto zero e i margini di manovra ormai ridottissimi, tuttavia è significativo notare che il mercato stima adesso al 90% una nuova riduzione del costo del denaro che soltanto a inizio anno non era nei radar.

LE SPERANZE DEI MERCATI

Così sono cambiate le probabilità implicite sui tassi di interesse di Fed e Bce a fine 2020. Il dato “-100%” indica che il mercato assegna il 100% di probabilità a un taglio dei tassi;
con “-200%” si assegna il 100% di probabilità a 2 tagli dei tassi. (Fonte: Elaborazione Il Sole 24 Ore su dati Bloomberg)

LE SPERANZE DEI MERCATI

E se dal lato Fed si preferisce per il momento navigare a vista e, almeno fino alla settimana passata, alcuni esponenti di spicco come il vicepresidente, Richard Clarida, e presidente della Federal Reserve di St. Louis, James Bullard, propendevano per un «effetto temporaneo» del virus sull’economia, sul fronte Eurozona analisti e investitori punteranno di sicuro le antenne sul discorso del presidente Bce, Christine Lagarde, in programma oggi a Wiesbaden in modo da captare ogni minimo riferimento alla vicenda coronavirus.

Ma serve davvero lo stimolo monetario?
Con l’avvertenza che quell’azione energica delle Banche centrali (in particolare lato Eurozona) già aspramente criticata rischia di essere messa ancora più in dubbio sul piano dell’efficacia nel caso di un evento che minaccia l’economia dal lato dell’offerta, come l’epidemia partita dalla Cina. Crisi del genere sono effettivamente rare e più difficili da fronteggiare, da parte della politica monetaria quanto dal lato degli interventi di tipo fiscale, che invece agiscono entrambe tipicamente sulla domanda.

Il precedente dello shock petrolifero degli anni 70
«Negli anni 70, quando i prezzi del petrolio aumentarono e la produzione subì un crollo, alcune banche centrali cercarono di stimolare la domanda, ma finirono per creare un’inflazione elevata, erodendo il reddito reale e approfondendo così la recessione», avverte Erik Nielsen di UniCredit. In quel caso, ammette l’economista, lo stimolo fiscale e monetario aiutò poi l’economia a riprendersi e ad adeguarsi al nuovo mondo fatto di prezzi del petrolio più elevati, mentre oggi l’inflazione è decisamente contenuta, ma ciò «non rende più semplice navigare fra la complessità degli strumenti politici». In altre parole, il prezzo da pagare nel breve termine per raggiungere l’obiettivo finale potrebbe rivelarsi troppo elevato.

Riproduzione riservata ©
  • Maximilian CellinoRedattore

    Luogo: Milano

    Lingue parlate: italiano, inglese, tedesco

    Argomenti: Mercati finanziari, politiche monetarie, risparmio gestito, investimenti, fonti alternative di finanziamento, regolamento del sistema finanziario

    Premi: Premio State Street 2017 per il giornalista dell'anno - Categoria Innovazione

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