Coronavirus, oltre 50 milioni di italiani a caccia di news
A farla da padrone ancora i media tradizionali, ma con web e social che avanzano. Ben 29 milioni di italiani si sono imbattuti in rete in notizie false o sbagliate
di Nicoletta Cottone
I punti chiave
- Il sovraffollamento comunicativo
- La caccia alle informazioni
- Solo al quarto posto i medici di famiglia
- Valerii (Censis) «Fare più informazione e meno comunicazione emotiva»
- Nella prateria infinita del web ognuno sceglie il sentiero
- Per quasi la metà l’informazione pandemica è stata confusa
4' di lettura
É caccia alle news sul nuovo coronavirus. Oltre 50 milioni di italiani, il 99,4% degli italiani adulti, hanno cercato informazioni sulla pandemia da diverse fonti. In vetta alle fonti consultate i media tradizionali (tv, radio, stampa), ma il web e i social che avanzano. L'eccesso di flussi di informazione al tempo del Covid, a volte anche contraddittori fra loro, non ha fatto bene. Anzi, la comunicazione confusa sul virus, invece di rendere consapevoli, ha veicolato paura.
Lo pensa il 65% degli italiani secondo il Rapporto Ital Communications-Censis, “Disinformazione e fake news durante la pandemia: il ruolo delle agenzie di comunicazione”, presentato nella Sala Zuccari del Senato. La quota cresce tra i soggetti più deboli, arrivando al 72,5% tra gli over 65enni e al 79,7% tra chi ha al massimo la licenza media.
Il sovraffollamento comunicativo
«Siamo immersi nelle notizie, le produciamo, le condividiamo, le commentiamo; il più delle volte non ci domandiamo neppure da dove vengono né se sono attendibili: il web ha allargato la platea del mondo dell'informazione portando più libertà, più protagonismo, più notizie, ma anche meno intermediazione e meno controlli sulla qualità e la veridicità delle informazioni che viaggiano in rete», è l’incipit del report.
L’attuale sovraffollamento comunicativo «fatto di tante notizie che nascono e muoiono velocemente, alcune delle quali non sono verificate o sono addirittura inventate con il rischio che, piuttosto che accrescere la conoscenza e la consapevolezza di un determinato accadimento, generino ansia, allarme sociale, visioni distorte della realtà».
La caccia alle informazioni
Al primo posto nella caccia alle news sulla pandemia ci sono 38 milioni di italiani (il 75,5% del totale, che salgono al 94,5% tra gli over 65enni) che durante la pandemia hanno cercato informazioni sul Covid-19 sui media tradizionali, ovvero televisione, radio e stampa.
Subito dopo i siti internet ufficiali, primi tra tutti quelli della Protezione Civile e dell'Istituto Superiore della Sanità, ai quali 26 milioni di italiani (il 51,8% del totale, datoche sale al 61,3% tra i laureati e al 65,6% tra i più giovani) si sono rivolti per avere un'informazione attendibile su contagi, ospedalizzazioni, decessi, e poi anche quelli del Ministero della Salute, delle Asl, delle Regioni, indispensabili per avere notizie scientifiche e per prenotare tamponi e vaccini. Al terzo posto, circa 15 milioni di italiani (il 29,8%: 46,2% tra i 18-34enni, 32,2% tra i laureati) hanno consultato e/o utilizzato i social network quali Facebook, Twitter, Instagram, mentre 5 milioni e 500.000 si sono fidati di siti internet non ufficiali.
Solo al quarto posto i medici di famiglia
Solo al quarto posto il medico di medicina generale, cui si è rivolto un italiano su quattro, 12,6 milioni in valore assoluto, con quote più elevate nelle città grandi e medio grandi e tra chi ha titoli di studio più elevati.
Oltre 5 milioni e mezzo diitaliani (l'11,2%) hanno chiesto aiuto a un medico specialista – soprattutto chi vive nelle città più grandi e ha titoli di studio più elevati – mentre 4 milioni e mezzo (il 9%) si è rivolto a un farmacista di fiducia, con quote che superano l'11% tra chi abita nei comuni più piccoli. Importante anche il ruolo del personale scolastico, che ha rappresentato una fonte di informazioni sul coronavirus per il 5,7% della popolazione.
Valerii (Censis): «Fare più informazione e meno comunicazione emotiva»
«Dal punto di vista dell’informazione - sottolinea il direttore generale del Censis Massimiliano Valerii - la pandemia ha rappresentato uno stress test straordinario: si è fatta tanta comunicazione, spesso però pagando il prezzo dal punto di vista dell’informazione corretta. Questo chiama in causa il ruolo di diaframma dei professionisti dell’informazione. Veniamo dal grande ciclo della disintermediazione digitale, dal falso mito che ciascuno si può costruire un proprio palinsesto informativo utilizzando i social network, internet. La pandemia ci ha ricordato quanto sia importante il ruolo degli intermediari professionali e autorevoli dell’informazione».
Ma l’esperimento non è stato pienamente superato, «perchè gran parte del disorientamento e dell’ansia non è venuto tutto dal mondo delle fake news, ma anche dalla televisione, che con i battibecchi fra virologi ha giocato un ruolo. Questo stress test per chi fa il mestiere professionale autorevole dell’informazione è un richiamo all’ordine: fare più informazione e meno comunicazione di tipo emotivo. Il cittadino che già nel mondo dei social si imbatte in una montagna di fake news deve trovare nei professionisti dell’informazione quel diaframma che è anche garanzia della buona informazione».
Nella prateria infinita del web ognuno sceglie il sentiero
Il report segnala che se da una parte è vero che «il web è una prateria infinita», dall’altra segnala che però «ciascuno decide quali sentieri percorrere, che sono fortemente influenzati dal proprio stile di vita, dal proprio modo di pensare, dai comportamenti, dall'orientamento ideologico e dal proprio ambiente di riferimento». Insomma i più finiscono per ricercare nel web quella immagine della realtà «che meglio è in sintonia con il proprio universo valoriale e che non necessariamente corrisponde alla realtà vera».
Insomma fake. I rischi maggiori li corrono le fasce più deboli della popolazione che, non avendo gli strumenti per riconoscere e selezionare la veridicità delle notizie, «sono più esposte alle lusinghe di notizie parziali, fuorvianti e fake news».
Rischi, spiega il report, tanto più diffusi quanto più le notizie sono specialistiche, settoriali, di difficile interpretazione e hanno delle ripercussioni sui comportamenti collettivi. Come nel caso delle regole da seguire per la prevenzione, la diagnosi e la cura del nuovo coronavirus.
Per quasi la metà l’informazione pandemica è stata confusa
Per il 49,7% degli italiani la comunicazione dei media sull'epidemia sanitaria è stata confusa, per il 39,5% ansiogena, per il 34,7% eccessiva. Solo il 13,9% pensa che sia stata equilibrata.
Il report segnala che nella confusione da bulimia comunicativa, il web è stato l’ambiente privilegiato in cui si sono prodotte e sviluppate fake news: 29 milioni di italiani hanno dichiarato che durante la situazione di emergenza sanitaria si sono imbattuti sul web in notizie che poi si sono rivelate false o sbagliate. cresce il numero di italiani che sono esposti al rischio di rimanere vittima di manipolazione informativa e aumenta l'information gap tra chi è in grado di decodificare e selezionare le buone dalle cattive notizie e chi non lo è: basti pensare che il 38,6% degli italiani è convinto che il virus sia stato intenzionalmente creato in un laboratorio da cui è sfuggito, ma tra chi ha al massimo la licenza media la quota sale al 49,2 per cento.
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