esercizi pubblici

Coronavirus, i ristoranti milanesi chiedono chiusura totale e agevolazioni anticrisi

Secondo la lettera aperta degli operatori per la natura del servizio offerto è «praticamente impossibile» far rispettare le disposizioni previste dal governo

di Emiliano Sgambato

Coronavirus, il vademecum: cosa fare in caso di dubbi

2' di lettura

Molti ristoranti stanno decidendo la chiusura totale e non solo dalle 18 come previsto dai provvedimenti del Governo per il contenimento del contagio da coronavirus. Uno su tutti? L’Osteria Francescana di Massimo Bottura, tre stelle Michelin: «Ragazzi, torneremo più forti di
prima. Stay safe e be positive», ha detto lo chef in un videomessaggio su Facebook.

Ma sono anche i locali meno blasonati – in un numero che cresce di ora in ora – a prendere questa decisione, da un lato per senso di responsabilità in un momento dove purtroppo la socialità deve essere sacrificata a motivi di salute pubblica, dall’altro perché può diventare anti-economico tenere aperti esercizi deserti.

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In questo contesto il 9 marzo è arrivato un appello firmato da oltre 100 ristoranti milanesi e pavesi che chiede al governo di predisporre la chiusura totale per gli esercizi e di prevedere alcune agevolazioni per non mettere in ginocchio il settore, alle prese con un forte calo del giro d’affari.

Un’indagine Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) svolta nei giorni scorsi, quando le misure restrittive non coinvolgevano tutta l’Italia, registra «una perdita di fatturato di oltre il 30% per il 57% dei ristoratori e tra il 10%-30% per tre imprenditori su dieci. In media la flessione raggiunge il 30%». Una situazione che non può che peggiorare nel nuovo scenario e che è ovviamente molto più grave se si restringe il quadro alle zone più colpite dal sondaggio e raggiunte prima dai provvedimenti governativi.

Secondo la lettera aperta degli operatori lombardi (Comitato ristoratori responsabili, primi tre firmatari Peck, Trippa e Ratanà) per la natura del servizio offerto è «praticamente impossibile» far rispettare la richiesta di mantenere un metro di distanza interpersonale, così come è «ineliminabile» qualche forma di «promiscuità tra clienti e tra cliente e personale di servizio».

«Lasciare i gestori delle attività come baluardo di prevenzione al contagio che impongono la suddetta distanza è un provvedimento che facciamo fatica a condividere», continuano i ristoratori, che notano anche come «la maggior parte di questi esercizi opera nelle ore serali: lasciare la possibilità di tenere aperto fino alle 18 crea una disparità significativa tra esercizi che lavorano durante il giorno e altri prevalentemente la sera».

Inoltre, mantenere i locali aperti «e raccomandare alla popolazione di non muoversi da casa propria equivale a condannare tali esercizi a fallimento». La conclusione è che «l’inevitabile crollo degli incassi porterebbe alla chiusura e al licenziamento di molti addetti».

Per questi motivi i ristoratori chiedono al governo nazionale e alla giunta lombarda di prendere in considerazione: «l’opportunità di chiudere del tutto gli esercizi di somministrazione: meglio un periodo di contenimento più severo ma più limitato nel tempo»; l'istituzione «di un fondo di emergenza per imprese in difficoltà»; la «cassa integrazione per i prossimi tre mesi per i dipendenti del settore»; la «sospensione degli oneri tributari per i prossimi tre mesi, compresi quelli comunali».

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