Lo studio

Corre l’export dei farmaci dal polo industriale del Sud

Il Monitor dei distretti industriali di Intesa Sanpaolo rileva nei primi nove mesi del 2020 una crescita delle esportazioni del 13,4% rispetto allo stesso periodo del 2019

di Vincenzo Rutigliano

 Il settore al Sud ha un trend positivo da otto anni

2' di lettura

Cresce ancora l’export del settore farmaceutico del Sud. Nel terzo trimestre 2020 l’export ha segnato, come variazione tendenziale a prezzi correnti, un aumento del 10,3%, quasi il triplo del ritmo di crescita nazionale, pari al 3,9%. Per l’export delle regioni meridionali è – come si legge nel rapporto Monitor di Banca Intesa sui distretti produttivi – l’ottavo incremento consecutivo, con valori ai massimi storici, circa 854 milioni nel periodo luglio-settembre 2020, con destinazione, per l’80%, verso i mercati avanzati, in primo luogo gli Usa.
Sempre secondo Monitor nei primi nove mesi del 2020 l’export è cresciuto del 13,4% rispetto allo stesso periodo del 2019, registrando un valore di 2,6 miliardi: anche in questo caso con risultati migliori del Paese. A trainare le vendite sono stati, in particolare, i mercati di Stati Uniti (+237milioni) e Germania (+126 milioni), con risultati consistenti anche in Spagna (+39 milioni). In calo invece i flussi verso i paesi extra Ue, in particolare verso la Svizzera (-88milioni), che rimane comunque il primo mercato di sbocco, con oltre 900 milioni di valori esportati. In calo anche i flussi verso due dei più importanti nuovi mercati: Cina e Uruguay, rispettivamente, di 38 e 21 milioni.
Dietro questi numeri c’è, secondo Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria, la conferma che «il legame tra industria farmaceutica e Mezzogiorno è sempre stato molto forte.Vi sono imprese innovative, a capitale italiano o internazionale, che hanno saputo creare un proficuo rapporto con i territori ed investito comportando benefici per tutto il Paese in termini di occupazione, produzione, export, innovazione e ricerca».
I dati dell’export del Sud, malgrado il calo del mercato interno, testimoniano la resilienza delle aziende del settore e dei prodotti made in Italy. «La qualità si deve anzitutto –prosegue Scaccabarozzi – alle risorse umane altamente qualificate impiegate nei processi produttivi e che rappresentano il nostro punto di forza». Parliamo di aziende resilienti perchè sono riuscite «ad assicurare ai pazienti – conclude il presidente di Farmindustria – la continuità delle terapie e si sono adattate rapidamente a una situazione di improvvisi cambiamenti a livello mondiale».
Al Sud la farmaceutica può fare da volano: conta 124 unità locali (il 16,6% del totale Italia), 5.520 addetti (il 9% del dato nazionale), oltre 650 milioni di valore aggiunto (il 7% del dato nazionale) e 100 euro di produzione farmaceutica attivano, secondo il centro studi Srm di Intesa SanPaolo, 42 euro aggiuntivi nell’area e 529 euro nelle altre regioni e negli altri settori, con un impatto complessivo di 671 euro, contro i 493, in media, del manifatturiero. Molto forte il peso della Puglia. Nel primo semestre 2020 (dati Bankitalia di novembre scorso) l’export ha raggiunto i 372 milioni, grazie soprattutto alla presenza di colossi del calibro di Merck-Serono a Bari e Sanofi Aventis a Brindisi. Secondo Sergio Fontana, industriale farmaceutico, fondatore e ad della Farmalabor (prodotti galenici) di Canosa e presidente di Confindustria Puglia, i risultati sono dovuti a «tanta ricerca e innovazione, a una eccellente collaborazione con l’università di Bari».

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