Corridoi umanitari, la strada degli ingressi legali per evitare le stragi del Mediterraneo
Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, racconta il progetto che ha portato in Italia 3mila profughi
di Nicoletta Cottone
I punti chiave
- La strada è quella dei corridoi umanitari
- Percorsi legali nati per contrastare scafisti e trafficanti di esseri umani
- Perché è necessario ripristinare i corridoi umanitari?
- Il canale di ingresso legale si è dimostrato utile?
- Come funzionano i corridoi umanitari?
- Dove vengono accolti i migranti?
- Riescono a integrarsi nella società?
- A novembre nuovi arrivi: si apre un corridoio anche con la Libia
- Il relitto ad Augusta per non dimenticare
4' di lettura
Nel Mediterraneo si continua a morire. In quel Mediterraneo che Papa Francesco ha definito «il più grande cimitero d’Europa», invocando «percorsi regolari di migrazione», chiedendo alla comunità internazionale di cercare soluzioni comuni. Concrete e durevoli, per la gestione dei flussi migratori in Libia e nel Ma re nostrum. Nel 2021 sono giunti in Italia via mare 52.820 migranti, di cui 7.267 minori non accompagnati. Loro si sono salvati, ma nel Mediterraneo si muore ancora. Oggi come ieri. In stragi che sono spesso drammi dimenticati dall’indifferenza e dalle porte chiuse dell’Europa. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni almeno 1.146 persone sono morte in mare nel tentativo di raggiungere l’Europa nella prima metà del 2021.
La strada è quella dei corridoi umanitari
La strada da percorrere è quella dei corridoi umanitari, un modo per far arrivare legalmente i migranti in Italia. Una strada imboccata da un progetto-pilota di Comunità di Sant'Egidio, Cei-Caritas, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e Tavola Valdese, completamente autofinanziato. Il primo siglato il 15 dicembre 2015 che ha portato in Italia mille rifugiati dal Libano. Poi ha interessato eritrei, somali, sudanesi, etiopi e nigeriani. Lo spunto giuridico è stato trovato nell’articolo 25 del regolamento (Ce) n. 810/2009 del 13 luglio 2009 che prevede la possibilità per gli Stati della Ue di emettere visti umanitari a territorialità limitate, dunque validi per un singolo paese. Un progetto che ha fatto scuola in Europa, replicato da Francia, Belgio, Andorra e Principato di Monaco.
Percorsi legali nati per contrastare scafisti e trafficanti di esseri umani
Nati per contrastare il business degli scafisti e dei trafficanti di esseri umani ed evitare i viaggi della morte sulle carrette del mare, i corridoi vogliono offrire una via di accesso legale e sicura. Percorsi interamente autofinanziati. I profughi che arrivano in Italia sono infatti accolti a spese delle associazioni firmatarie dei protocolli d’intesa, ospitati in strutture o case private. Si arriva con un visto umanitario e si procede poi alla domanda di asilo. Chi giunge in Italia viene subito inserito in percorsi di integrazione che vanno dall’insegnamento della lingua italiana all’iscrizione a scuola dei bambini, fino all’avviamento al lavoro. L’accesso ai programmi è riservato a persone in condizioni di vulnerabilità (vittime di persecuzioni, torture e violenze, famiglie con bambini, anziani, malati, persone disabili). Le associazioni predispongono un elenco di potenziali beneficiari che viene vagliato dalle autorità per i controlli. Poi i consolati italiani rilasciano dei visti “con validità territoriale limitata”. Ne parliamo con Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio.
Perché è necessario ripristinare i corridoi umanitari?
«Perchè ci sono troppe morti in mare, ci sono tante sofferenze di persone che non trovando vie legali per giungere in Europa, usano le vie illegali che spesso provocano sofferenza e morte».
Il canale di ingresso legale si è dimostrato utile?
«Molto utile, ha salvato migliaia di vite umane. Vite di donne, di bambini, di uomini, di persone malate».
Come funzionano i corridoi umanitari?
«Sono un progetto di accoglienza e integrazione di migranti in stato di vulnerabilità che non potrebbero accedere all’Europa, perché non ci sono vie legali aperte. É una via legale che funziona con visti a territorialità limitata, cioè per Paesi europei che decidono di accogliere. Sono percorsi a spese delle organizzazioni che accolgono e integrano».
Dove vengono accolti i migranti?
«Nelle famiglie, nelle comunità, nelle parrocchie. In luoghi che vengono messi a disposizione gratuitamente e volontariamente da semplici cittadini italiani».
Riescono a integrarsi nella società?
«Molto. Innanzitutto questa accoglienza è “dispersa” su tutto il territorio nazionale. Spesso finiscono anche in piccoli paesi. I bambini vengono iscritti alle scuole e ci sono istituti scolastici che sopravvivono grazie alla presenza di questi bambini. É una integrazione che funziona».
A novembre nuovi arrivi: si apre un corridoio anche con la Libia
I corridoi umanitari hanno unito il Paese da Nord a Sud, con un’accoglienza che, come ha spiegato Impagliazzo, ha coinvolto la Penisola attraverso la solidarietà e senza pesare sulle casse dello Stato. Finora ha interessato 3mila profughi, ma salirà rapidamente a 4mila grazie ai prossimi arrivi da Libano, Etiopia, Lesbo e dal nuovo corridoio aperto in Libia. Il premier Mario Draghi ha sottolineato che è necessario incoraggiare una gestione europea dei flussi e «incentivare i canali di migrazione legali». Servono «piani chiari, adeguatamente finanziati», L’Europa, ha detto il premier riferendo al Senato in vista del Consiglio europeo «dovrebbe impegnarsi di più, seguendo ad esempio il modello dei cosiddetti corridoi umanitari», con tempistiche precise». Un tema di grande attualità visto che nel 2021 gli sbarchi sono raddoppiati e i morti di cui si ha notizia sono quasi 1.200. Un tema che però in Europa resta divisivo e che ha lasciato quasi sempre sola l’Italia ad affrontare le odissee dei migranti sui barconi che hanno seminato morte nel Mediterraneo.
Il relitto ad Augusta per non dimenticare
Troppi hanno cancellato dalla memoria la tragedia del Canale di Sicilia del 18 aprile 2015, quando a 120 chilometri dalle coste libiche e a 200 da Lampedusa si capovolse un peschereccio in attesa di soccorso con centinaia di migranti a bordo. Esseri umani, compresi una cinquantina di bambini, costretti dagli scafisti a entrare nella stiva e a trovare lì la morte. Novecento morti che per la prima volta scossero l’Europa. Solo 28 i superstiti. Quel relitto recuperato dal fondo del mare per volontà del governo Italiano, fu portato alla base navale di Augusta per rimuovere i cadaveri delle centinaia di vittime che erano rimaste intrappolate lì dentro. Ora quel relitto è esposto nella nuova darsena del Porto di Augusta in Sicilia, dopo essere stato anche alla Biennale di Venezia del 2019, come pungolo per le coscienze e simbolo di tutte le tragedie del mare. Per non dimenticare.
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