FISCO E CRESCITA

Corsa mondiale al taglio delle tasse

di Giovanni Parente

3' di lettura

Nell’era della globalizzazione anche l’american dream assume connotati e dimensioni che superano i confini a stelle e strisce. L’annuncio del presidente Usa Donald Trump di abbattere drasticamente il prelievo sui redditi delle imprese portandolo al 15% diventa quasi un incentivo verso una corsa al ribasso mondiale delle aliquote. Una corsa che in realtà è già cominciata a seguito della riduzione dal 20% al 19% dell’aliquota ordinaria per i redditi d’impresa prodotti nel Regno Unito scattata dallo scorso 1° aprile. In una prospettiva “ribassista” che, come annunciato nel Budget 2016, dovrebbe portare da aprile 2020 a una tassazione al 18 per cento. Insomma un asse anglo-statunitense guida la battaglia contro il fisco elevato. La ricetta riecheggia quella in voga negli anni Ottanta, ossia disinnescare il peso dell’imposizione non solo sulle società ma anche sulle persone fisiche per spingere sull’acceleratore della crescita. Quel «trickle down» di reaganiana memoria attraverso cui sostanzialmente il taglio del prelievo fiscale potrebbe diventare sostenibile in termini di conti pubblici generando un incremento del prodotto interno lordo. Certo, un conto sono le previsioni e i modelli econometrici e un altro la realtà su cui possono incidere anche una serie di fattori esogeni difficilmente preventivabili.

Corporate tax rate 2017

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Del resto, il mantra della riduzione fiscale non è solo una prerogativa del mondo di lingua inglese. Anche il testa a testa per l’Eliseo che si consumerà tra dieci giorni tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen. Nei programmi dei due candidati alla Presidenza della Repubblica francese compare (e non potrebbe essere altrimenti) l’intenzione di dare una sforbiciata alla tassazione su imprese e cittadini. Il primo, tra l’altro, propone di abbassare la tassazione sulle imprese (dall’attuale 33,3 al 25%) e i contributi sociali. La seconda, invece, assegna priorità alla riduzione delle tasse e dei contributi sociali per i redditi di fasce inferiori.

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Una partita in cui anche l’Italia non vuole stare seduta a guardare in panchina. Sotto il profilo della tassazione d’impresa va già annoverata la riduzione dell’aliquota Ires dal 27,5% al 24% a partire dall’anno d’imposta 2017 e l’introduzione dell’Iri con la stessa aliquota anche per le imprese tassate a Irpef. Una spinta forte alla riduzione del tax rate, oltre agli interventi degli anni passati sull’Irap, è arrivata dai superammortamenti e dagli iperammortamenti per gli acquisti di beni digitali. Mentre in controtendenza vanno sia la doppia stretta sull’Ace (aiuto alla crescita economica) prima nella legge di Bilancio e poi nella manovrina, sia l’eliminazione dei marchi dal perimetro del patent box facendo salve, però, le opzioni già esercitate nel biennio 2015-2016. Se i segnali di miglioramento si intravedono sul prelievo nominale, il total tax rate che considera tutto il carico di imposte e contributi misurato su un'impresa tipo dal rapporto Paying taxes di PwC e Banca mondiale ammonta ancora al 62%, nonostante segnali di miglioramento rispetto al recente passato. Il peso specifico più rilevante lo riveste ancora la componente relativa alle tasse sul lavoro e i contributi (il 43,4%), sebbene a incidere è anche la quota destinata al Tfr. Per quanto riguarda le persone fisiche, invece, continua il dibattito relativo a un intervento sull’Irpef su cui anche le Camere hanno chiesto un impegno al governo nelle risoluzioni votate ieri sul Def (si veda il servizio a pagina 4).

Ma in questa gara a chi riduce di più le aliquote che cosa farà l’Unione europea? L’obiettivo è quello di arrivare a un’armonizzazione fiscale e per questo la Commissione ha approvato nello scorso mese di ottobre una proposta di base imponibile unica per tutte le imprese europee con ricavi almeno di 750 milioni. Proposta che prevede definizioni simili per quanto riguarda i profitti, le perdite, l’ammortamento ma anche una consistente deduzione per le spese di ricerca e sviluppo.

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