Studenti e ricercatori

Corsi di laurea in 205 Comuni Offerta sempre più polverizzata

di Eugenio Bruno

3' di lettura

Era il 21 settembre del 2020 quando l’università Parthenope di Napoli riavviava a Nola la triennale di Economia e Management. Mentre appena qualche giorno fa è circolata l’ipotesi (poi smentita) che l’ateneo di Siena potesse chiudere i sei corsi di laurea attivi nella città natale di Francesco Petrarca. Due esempi di come, nonostante il Covid e un anno accademico e mezzo vissuto in tutto o in parte a distanza, l’attività di apertura/chiusura delle sedi universitarie sia più viva che mai. Basti pensare che, a fronte di 98 atenei tra pubblici e privati (telematici inclusi) censiti lungo la Penisola sono 205 i Comuni italiani che ospitano almeno un corso. L’anno prima erano 204.

La mappa dei corsi

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A fare una mappatura completa dell’offerta universitaria sul territorio è stato l’Osservatorio Talents Venture che si è messo a spulciare tra i dati del portale dell’Istruzione superiore del ministero dell’Università. Ponendo anche un interrogativo che ci sentiamo di rilanciare: queste strutture avranno ragione di esistere o meno nei prossimi anni considerando che durante la pandemia le università italiane sono state bravissime a spostare le attività didattiche online nel giro di pochissimi giorni? In attesa che siano i rettori e la politica a fornire una risposta in questa sede ci limitiamo a sottolineare che, da Troina (Enna) a Gemona del Friuli (Udine), sono 205 i Comuni che ospitano un corso di laurea. Come detto uno in più dell’anno prima. Nella maggiore parte dei casi (120) non si va oltre i sei corsi e anche questo è un dato in crescita visto che nell’anno accademico precedente erano 118. A conferma di come la tendenza ad avviare iniziative territoriali spot non si sia arrestata. Anzi.

In due realtà - Cotignola (per l’università di Ferrara) e Nola (per la Parthenope di Napoli) - c’è spazio solo per un corso di laurea. Ma la “polverizzazione” dell’offerta è ancora più ampia se pensiamo che in altri 55 municipi l’offerta formativa comprende dalle 7 alle 50 lauree. Appena tre le realtà (Roma, Milano e Napoli) che ne concentrano invece più di 200. Roma (con 542 corsi) e Milano (369) sono le due big della classifica e insieme concentrano il 18% dell’intera offerta formativa italiana. La crescita delle sedi sembra la diretta conseguenza dell’aumento progressivo dell’offerta complessiva che, sempre secondo Talents Venture, è passata, telematiche escluse, dai 4.972 corsi sparsi per il territorio nel 2019 ai 5.117 del 2020. Con un aumento che ha coinvolto praticamente tutte le regioni (tranne Sardegna e Basilicata). Con in testa inevitabilmente la Lombardia, che è passata in 12 mesi da 666 corsi a 688, e il Lazio, che è salito nello stesso arco di tempo da 644 a 658.

Le scelte degli atenei

In valore assoluto La Sapienza di Roma è l’università che offre i suoi corsi di laurea in più Comuni(17), davanti alla Cattolica di Milano (15) e all’Alma Mater di Bologna (10). Ma se si guarda alla totalità dell’offerta formativa è invece l’università della Campania Luigi Vanvitelli quella con la maggiore dislocazione sul territorio. Solo il 31% dei corsi sono svolti nella sede principale di Napoli; il restante 69% è dislocato in altri 9 centri della Regione. Completano il podio il Piemonte Orientale (60% di dispersione) e di nuovo la Cattolica (59%).

Aprire una nuova sede o spostarla da una città all’altra significa spesso far traslocare anche uno o più Dipartimenti. Con tutto ciò che ne consegue in termine di organizzazione della didattica e della ricerca. Un tema su cui è intervenuta di recente anche la Corte dei conti. Nel referto sul sistema universitario pubblicato la settimana scorsa, che vuole essere anche un “tagliando” alla legge Gelmini del 2010, i magistrati contabili hanno sottolineato come, da allora, anziché essere razionalizzati come chiedeva la riforma queste strutture siano addirittura aumentate rispetto alle “vecchie” Facoltà. Soprattutto nei mega-atenei. Così da circoscrivere alle università medio-piccole la semplificazione auspicata dalla legge 240 ormai dieci anni fa.

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