ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùLuigi Ambrosio

«Cosa ha di bello la matematica? Scalate in solitaria e condivisione di soluzioni»

Il direttore della Normale di Pisa parla della sua passione per i numeri, nata da bambino, e di una vita dedicata alla soluzione di complessi problemi di grande impatto

di Lucilla Incorvati

Mentore di talenti. Luigi Ambrosio, direttore della Scuola Normale di Pisa dal 2019, è ordinario nella stessa istituzione di Analisi Matematica dal 1998. Socio corrispondente dell’Accademia nazionale dei Lincei, ha vinto il Premio Bartolozzi, il Premio Caccioppoli, il Premio Balzan e l’ultima edizione del Riemann Prize

6' di lettura

«Si può essere più o meno portati per una disciplina sportiva, ma solo con l’allenamento si raggiungono certi risultati. Così è con la matematica: costanza e intensità sono indispensabili per allenare il muscolo del pensiero astratto. All’inizio non ce l’ha nessuno. Poi, più ci si allena, facendo esercizi e problemi, più si raggiungono obiettivi ambiziosi nella matematica astratta, quella concettuale, che è la vera matematica. Lo dico sempre ai miei allievi: se la corsa è alla portata di (quasi) tutti, la matematica, la “corsa’ delle discipline intellettuali, può diventarlo. C’è poi chi corre i 100 metri e chi la maratona: i paragoni non vanno fatti e si deve guardare in prospettiva. Certo è che alla matematica non si può dedicare un tempo residuale perché come altre discipline speculative, la fisica e la filosofia, richiede massima concentrazione. È come un motore che si deve scaldare per raggiunge una certa temperatura, altrimenti non parte». Per spiegare come si diventa bravi matematici Luigi Ambrosio, 60 anni, nato ad Alba ma tranese d’adozione (sposato e tre figlie), dal 2019 direttore della Normale di Pisa, ricorre all’analogia sportiva. Lui per questioni di tempo ne pratica poco ma è un matematico con straordinarie capacità di astrazione che ha affrontato problemi complessi e ricchi di applicazioni – dai materiali alla visione artificiale, dalla logistica all’economia – stabilendo connessioni inaspettate tra diverse teorie. «Quello che più mi avvicina alla matematica sono gli aspetti concettuali e teorici ma anche la sorpresa di come questi vadano a braccetto con quelli pratici non mi lascia certo indifferente». Per la sua attività di ricerca (si è occupato del Calcolo delle Variazioni, della Teoria Geometrica della Misura, della Teoria del Trasporto Ottimale) ha ricevuto tanti premi: il Premio Nazionale per la Matematica e la Meccanica del Ministro della Ricerca e dell’Università (1996), Caccioppoli dell’Unione Matematica Italiana (1999), Premio Fermat dell’Università di Toulouse (2003), Medaglia d’oro per la Matematica, conferita dall’Accademia Nazionale dei XL (2015), Premio Balzan (2019). Da ultimo, qualche mese fa è arrivato il prestigioso Premio Riemann (2023), conferito dall’Università Dell’Insubria.

«L’affinità con i numeri l’ho avuta sin da bambino. Già a 9 anni mio nonno mi spiegava i trucchi per fare i calcoli velocemente e ci riuscivo con grande facilità. Poi durante il liceo è arrivata la conferma. All’epoca mi piaceva anche la filosofia e pensavo all’ingegneria. Ma è stato con il concorso alla Normale che la mia vita ha preso una certa direzione». Per correre dietro alla matematica, rispettando dure sessioni di allenamento, Ambrosio ha dovuto lasciare perdere anche certi hobby come il gioco degli scacchi (mi piaceva molto e prima o poi riprenderò).

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Ma non c’è solo l’attrazione per la magia dei numeri nella vita di Ambrosio. Come pochi prima di lui che si sono seduti sulla prestigiosa poltrona di una delle istituzioni che da oltre 213 anni è sinonimo di pensiero critico, ricerca scientifica, fucina di talenti, Ambrosio, accanto all’incarico di direttore, non ha mai abbandonato quello di professore. Ha formato un’intera generazione di matematici e, con il suo lavoro, ha mantenuto la scuola italiana di analisi geometrica leader nel mondo. Ambrosio è stato ed è un grande mentore. Tra i matematici più geniali sulla scena internazionale ci sono i suoi allievi Camillo de Lellis (ora al Politecnico di Zurigo) e Alessio Figalli che a soli 34 anni ha vinto la Medaglia Fields, il Nobel della matematica (anche lui professore al Politecnico di Zurigo) proprio per i successi nella teoria del trasporto ottimale, campo dove il maestro Ambrosio lo ha instradato. «Nella vita ho avuto la fortuna di incontrare alcuni professori molto appassionati e bravi nel motivarmi. L’interesse nel campo delle variazioni me lo ha trasmesso Ennio De Giorgi al quale la Scuola della Normale deve molto, il più grande matematico dell’analisi del ‘900 ». De Giorgi debutta sulla scena internazionale a soli 29 anni e risolve uno dei problemi del secolo, il 19° problema di Hilbert, battendo sul tempo John Nash, il Nobel protagonista del libro e del film “A Beautiful Mind”. «Si dice che il Nobel non venne dato a nessuno dei due perché arrivarono insieme alla soluzione – aggiunge Ambrosio –. Ma in seguito De Giorgi ha rivoluzionato lo studio delle superfici minime e inventato svariate tecniche che hanno aperto nuovi orizzonti. De Giorgi è stato un personaggio leggendario: era impressionante la velocità del suo pensiero. In pochi secondi, gesso alla mano, risolveva problemi complessi. Devo a lui un certo gusto per la soluzione dei problemi. Ma soprattutto De Giorgi mi ha trasmesso quel modo di fare con gli allievi più orientato alla proposizione dei problemi che a dare suggerimenti nella soluzione. Lui ripeteva sempre che non ha senso indicare la strada perché ognuno ne può trovare una tutta sua ugualmente valida. Questo è un aspetto della matematica che mi piace sottolineare: l’autonomia nella ricerca di soluzioni, la scalata della montagna che si fa in solitaria ma poi in cima possiamo trovare qualcuno che è salito da un’altra parte. Come alcuni alpinisti hanno trovato strade diverse per scalare gli ottomila così fecero De Giorgi e Nash per risolvere il teorema di Hilbert. Entrambe le vie sono state strade feconde che altri hanno percorso. Rispetto al passato oggi sempre più spesso i lavori importanti sono frutto di collaborazioni. Sono abbastanza anziano da aver visto come sia cambiata l’interazione tra matematici. Quando iniziai gli articoli si scrivevano a macchina e si inviavano a 15 colleghi sparsi nel mondo. Oggi i miei allievi utilizzano dei software (confesso che un po’ mi spaventano) che consentono di lavorare contemporaneamente sullo stesso documento. Ognuno interviene con proprie correzioni e il sistema tiene conto del tutto con la massima efficienza. Il lavoro collaborativo è un aspetto molto bello della matematica. Mi è capitato più volte di avere un’idea in embrione che solo quando l’ho esternata a colleghi o studenti ha preso corpo e da lì si è proseguito insieme. Poi ci sono talenti geniali che fanno solo scalate in solitaria come lo era il belga Jean Bourgain che abbiamo perso prematuramente. Era un problem solver eccellente che si spostava rapidamente da una sfida all’altra, lasciando ad altri il compito di sviluppare le innovazioni concettuali da lui introdotte».

Oggi il mondo della ricerca internazionale parla italiano perché sono tanti i talenti italiani nel mondo. Ambrosio ha presieduto il tavolo tecnico nel governo Draghi dedicato alla ricerca di base in Italia, un gruppo di lavoro creato con l’idea di dare continuità agli effetti del Pnrr . All’epoca venne prospettato per l’Italia un piano quinquennale di risorse aggiuntive per Ricerca e Sviluppo nel settore pubblico volte a stabilizzare l’investimento almeno a una quota dello 0,70% del Pil . Sulla base degli ultimi dati disponibili l’Italia occupa una posizione mediana, con circa lo 0,60% del Pil in Ricerca e Sviluppo, sotto la media europea e ben lontana dalla Germania (1,1%) . «L’Italia per la sua grande tradizione scientifica e letteraria, merita di più», sottolinea Ambrosio. «L’investimento in ricerca crea un circolo virtuoso di cui beneficia anche l’economia, ed è un argine per contrastare il fenomeno della fuga e spesso non ritorno dei nostri migliori talenti. Rispetto al passato qualcosa di positivo è stato fatto. Pensiamo alle chiamate dirette, ai meccanismi di accelerazione delle carriere per i vincitori di grant in ambito nazionale e internazionale, agli incentivi fiscali (seppur questo Governo li vuole ridurre), comunque al circolo di idee creato dai nostri brillanti ricercatori all’estero, virtuoso anche per chi resta in Italia. Ma se non invertiamo la politica di investimenti il campionato con l’estero lo perdiamo: va ridotta la burocrazia, si devono stabilizzare le regole del gioco e soprattutto ridurre l’enorme gap salariale caratterizzato da retribuzioni oggi inique». Nel futuro di Ambrosio c’è ancora la ricerca. Con i finanziamenti del premio Balzan ha creato un gruppo di studio alla Normale per la ricerca nel campo dell’Intelligenza Artificiale, con l’obiettivo di rendere minimi gli errori nelle procedure di apprendimento automatico. «Ci sono alcuni problemi posti dall’AI sia nella matematica sia nella fisica non ancora risolti e dove la ricerca può fare molto. Non è ancora chiaro perché certe cose funzionano e quali criteri l’algoritmo matura durante l’addestramento, con quali dati si nutre perché se sono distorti l’algoritmo ne assorbe tutti i pregiudizi. La ricerca ci può aiutare anche a come associare l’aspetto positivo e negativo dell’AI. Se infatti l’AI può dare un enorme aiuto nella soluzione di problemi complessi, il rischio è che soprattutto negli strati più bassi della popolazione vadano perse competenze di base. Tra qualche anno non faremo più ricerche su Google ma solo una domanda e l’algoritmo eseguirà. Il tema è dunque preservare la ricchezza del pensiero facendo in modo che governi sempre la tecnologia».

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