mostra digitale / 3

Cosa vorrei che restasse

Una palestra in una casa di ringhiera a Milano, uno scatto del cuore che si porta dietro l'intuizione di una nuova consapevolezza. Il nostro passo che muta e ci insegna l'importanza di una nuova “andatura”

di Serena Uccello

Cosa vorrei che restasse

3' di lettura

Ci sono due modi di guardare ai cambiamenti che l'emergenza Covid-19 ha innescato nelle nostre vite. Un modo è considerare quello che abbiamo perso; l'altro è guardare a quello che possiamo scoprire, acquisire, imparare. Quello cioè che possiamo conquistare. E la bipolarità dell'osservazione vale per l'individuo e, in egual modo, vale per la società. Ci si può attardare cioè su un sentimento di nostalgia o usare questa percezione per avanzare, per proiettarci avanti. È questo il filo che tiene insieme la proposta artistica e concettuale, con cui Max Cardelli, Marco Garofalo, Matilde Gattoni e Rocco Rorandelli hanno partecipato al progetto di mostra digitate, Il mondo che verrà, curato da Mudec Photo e da IL, il magazine de Il Sole 24 Ore, visitabile online digitando l'indirizzo ilsole24ore.com/mostradigitaleil , dal 15 maggio per tre mesi.

Il moto di partenza di ogni esperienza è spesso la nostalgia, una sorta di leva emotiva che si carica del passato per farci schizzare nel futuro. S'intitola Vicolo nella casbah di Ouarzazate (Marocco) infatti lo scatto di Matilde Gattoni. «Guardando fuori dalla finestra, ho visto le prime rondini volare in cielo. Si dice che la natura si stia riprendendo i suoi spazi, sembra che il mondo ci voglia ricordare che può fare a meno dell'uomo. Io non posso fare a meno di pensare ai tanti meravigliosi alberi che ho visto nel corso della mia vita, e di chiedermi come sono adesso, con l'aria pura e la sola presenza degli animali», spiega Gattoni.

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La nostalgia che diventa lo strumento che ci spinge ad indulgere, a rallentare il passo e il pensiero e così forse a riappropriarci di noi, come parte di altro. Il tempo rallentato può allora diventare l'occasione per capire le nostre possibilità di “accettare”, di accettare il mutamento. Di scorgere nella dissoluzione l'ipotesi di un nuovo inizio come fa Max Cardello in #road1 ( scattata in Oman alle porte del deserto, dicembre 2019, Parte di una raccolta di scatti di strade, stampati personalmente al platino). L’immagine di Cardello è «una strada che si interrompe, ma la via prosegue in un'altra forma, con un'altra strada. L'intervento umano è ancora presente, ma cambia il modo». Un'immagine emblematica «della situazione mondiale che stiamo vivendo. Questa cesura ci costringe a rallentare e godere di un paesaggio più coerente con la via stessa».

Esattamente la percezione che coglie Rocco Rorandelli, serve forza e la follia dei visionari. La medesima follia che lo spinge a ribaltare il senso più ovvio di una inquadratura in uno più lucido e potente. Accade con il suo Calibri, Avellino. Un edificio non ancora terminato dopo il terremoto del 1980. Questo territorio, irpino, è bellissimo, dice. «Per me queste scale hanno il duplice significato di memoria organica di un disastro e segno vitale di rinascita, forza rigeneratrice».

Ma ogni nuova costruzione ha bisogno di basi solide che prima di tutto devono essere relazionali. Ci si domanda come saremo o meglio come saremo diventati: peggiori o migliori? Ognuno porta nella risposta i propri turbamenti o, al contrario, i propri entusiasmi. Le previsioni sono degli sciamani, la realtà è che c'è stato un momento, forse, anche piccolo in cui abbiamo allungato la mano e abbiamo trovato qualcuno che l'ha stretta. Come è accaduto in quel condomino di ringhiera del quartiere Isola a Milano ritratto da Marco Garofalo in Aerobica di ringhiera, Milano. Qui durante i giorni della quarantena ogni pomeriggio un insegnante ha “allenato” dal ballatoio i suoi vicini. «Mi piacerebbe che questo spirito “condominiale” di collaborazione durasse anche dopo l'emergenza. Prima del virus ci si conosceva a malapena...», dice Garofalo.

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