Così anche l’Italia è diventato un Paese di trust
di Guido Luigi Battagliese*
3' di lettura
Molte persone, spesso senza accorgersene, ad un certo punto della loro vita entrano in un modo o nell'altro, in contatto con un trust. I trusts sono ancora largamente fraintesi e spesso considerati come qualcosa che dovrebbe riguardare i ricchi o chi vuole nascondersi dal fisco o dai propri creditori.
Non è così.
I trusts sono largamente diffusi nel mondo, particolarmente in quei paesi i cui sistemi giuridici affondano le radici nel diritto inglese, e ormai da tempo anche in Italia, tanto che il mondo anglosassone considera l'Italia un “paese trust”.
In questi ultimi venticinque anni, infatti, dopo la ratifica della Convenzione dell'Aja 1.07.1985, l'Italia, pur in assenza di una disciplina civilistica interna, ha assistito ad uno sviluppo del trust senza paragoni, con la formazione anche di un ampio corpus giurisprudenziale e dottrinale che ha permesso all'istituto di acquisire una propria identità e stabilità, nonché un ben definito regime fiscale.
I trusts, dunque, sono piuttosto comuni e svolgono un importante ruolo nella vita quotidiana. Nel Regno Unito, ad esempio, la maggior parte dei sistemi previdenziali sono strutturati in forma di trust, con il datore di lavoro (che in tal caso agisce come settlor) che trasferisce liquidità al gestore del fondo previdenziale (il trustee) per investimenti a favore dei lavoratori una volta in pensione (i beneficiari). La struttura del trust rende più trasparente la gestione, la regolamentazione e la tassazione del fondo pensione, e soprattutto evita effetti negativi sui beni del trust in caso di default del gestore del fondo e/o del datore di lavoro salvaguardando l'integrità dei diritti pensionistici. Analogamente, numerose polizze assicurative sulla vita sono “realizzate in trust” in modo che alla morte dell'assicurato la polizza paghi ad un trust gestito dall'assicuratore che a sua volta impiega la somma seguendo le istruzioni dell'assicurato stesso.
Il trust è diventato negli anni soprattutto lo strumento ordinario e più usato in tutto il mondo, Italia non ultima, per la detenzione, gestione e conservazione di un patrimonio e nelle operazioni di trapasso generazionale, così come le società sono lo strumento tipico per l'esercizio di un'attività commerciale.
I trusts, infatti, si rivelano particolarmente utili quando si pianifica in che modo il denaro ed i beni devono passare da una generazione all'altra, specialmente quando le strutture familiari sono complicate da divorzi e seconde nozze o caratterizzate da unioni di fatto. Tali circostanze potrebbero spiegare il crescente interesse per i trusts in numerosi paesi anche al di fuori dell'area anglosassone, come appunto l'Italia.
Di seguito, alcune delle più comuni situazioni ove i trusts sono efficacemente impiegati:
• provvedere ad un coniuge dopo la morte, proteggendo al contempo gli interessi dei figli;
• Wealth Management;
• trasmissione della ricchezza alle future generazioni/successioni;
• pianificare/strutturare la governance delle società/azionariato di famiglia;
• proteggere l'eredità dei bambini finché questi non raggiungano un'età in cui possano provvedere
da soli a loro stessi;
• provvedere a parenti deboli che è improbabile possano salvaguardare i propri interessi;
• agevolare la pianificazione della successione degli affari della famiglia.
• detenzione e il prestito di opere d'arte, e raccolta fondi;
I trusts si fondano, in linea di principio, su un concetto semplice. Un trust è un atto di disposizione privata in cui i beni di un soggetto, il settlor, (che possono includere proprietà immobiliari, partecipazioni societarie, titoli o contanti, opere d'arte, collezioni, diritti immateriali e quant'altro) vengono posti sotto il controllo di un trustee (una persona, fisica o giuridica, ovvero una trust company) perché siano custoditi e impiegati a beneficio di terzi o per una finalità filantropica, caritatevole, o anche commerciale. In Italia, perché ciò avvenga, viene trasferita al trustee la titolarità dei beni stessi.
Capita che i trusts siano rappresentati da alcuni commentatori superficiali quali meri strumenti di evasione fiscale. In realtà, non esistono, nei fatti, circostanze in cui un soggetto viene consigliato di istituire un trust per mero vantaggio fiscale, che nella maggior parte dei casi non sussiste. Istituendo un trust, l'istituente trasferisce la titolarità dei beni al trustee: tale significativa disposizione ha senso soltanto se il disponente ha chiaro davanti a sé l'obiettivo civilistico che intende perseguire mediante quei beni, mentre eventuali conseguenze fiscali sono soltanto un aspetto secondario.
*Direttore Scientifico divisione diritto dei trusts Studio Martinez&Novebaci
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