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Così le culture del lavoro sono diventate un caleidoscopio sociale

Le analisi sul lavoro, nella discussione pubblica, si concentrano in modo pressoché esclusivo sulle questioni giuridiche e, di conseguenza, politico-sindacali.

di Daniele Marini

4' di lettura

Le analisi sul lavoro, nella discussione pubblica, si concentrano in modo pressoché esclusivo sulle questioni giuridiche e, di conseguenza, politico-sindacali. Così, però, si perde totalmente di vista una dimensione fondamentale: le aspettative delle persone verso il lavoro, i valori a esso attribuiti, come lo vorrebbero vivere, a quali condizioni. Già nei decenni precedenti sono avvenute modificazioni strutturali grazie all’avvento delle nuove tecnologie: mutamenti spesso radicali che hanno toccato la vita dei lavoratori e le imprese. Ora, la diffusione della Quarta rivoluzione industriale con i suoi processi digitali, l’interazione uomo-macchina (che apprende) interviene sulle mansioni, sui profili professionali e sulle competenze necessarie. Si sta aprendo un nuovo orizzonte per il lavoro o, meglio, per i lavori. Inevitabilmente, questi processi si accompagnano a un altro piano, meno esplorato, eppure fondamentale: le culture del lavoro. Una recente ricerca sulla popolazione italiana (Community Research&Analysis per Federmeccanica), ha esplorato se e come l’idea del lavoro sia mutata nella popolazione, fra le generazioni e i generi.

Un primo aspetto è che non esiste «una» cultura del lavoro, ma siamo in presenza di un «caleidoscopio» di dimensioni tale da definire una pluralità di culture. Dimensioni che si mescolano in misura diversa a seconda di età, condizioni sociali, genere ed esperienza lavorativa. Talvolta in modo che un tempo avremo potuto considerare antitetico, ma che oggi invece presenta mescolanze inedite, dove i confini tradizionali vengono superati e amalgamati.

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Un esempio eclatante di questo mix riguarda le generazioni più giovani: esprimono un’idea di lavoro volta a interpretarlo come un «percorso» di carriera, fatto di opportunità di crescita professionale e di mobilità, meno legato a un «posto» fisico di lavoro. Nello stesso tempo, però, più degli adulti ritengono di coinvolgersi negli ambienti di lavoro e si attendono di esserlo, di voler contribuire agli obiettivi dell’impresa in cui sono inseriti. Una sorta di «identificazione in movimento».

Un secondo aspetto attiene ai valori simbolici attribuiti al lavoro. Ciò che conta in misura maggiore nella scelta di un’occupazione sono gli aspetti considerati «immateriali» (work-life balance, l’attenzione delle imprese al sociale), rispetto a quelli «strumentali» (benefit e incentivi economici, vicinanza a casa del lavoro, poter lavorare da casa). Ciò non significa che non si presti più attenzione al salario, alla sicurezza del e nel posto di lavoro. Che, anzi, quest’ultime risultano al primo posto dei criteri nella scelta di un’occupazione.

Tuttavia, gli aspetti soft hanno un peso e una valenza che complessivamente supera quelli considerati hard. Al punto tale che, a parità di condizione, i primi diventano discriminanti nella scelta di un’occupazione. Tanto che oggi il lavoro perde la caratteristica di «necessità» e diventa in misura crescente una «scelta».

In una sorta di rovesciamento, così come il mercato è orientato dai consumatori, per certi versi il lavoro è condizionato dalle aspettative dell’offerta di lavoro (lavoratori), più che dalla domanda (imprese). Sempre più frequentemente sono le persone a scegliere il posto di lavoro, più che le imprese a selezionare una persona. Sono determinanti gli orientamenti di valore che danno centralità alla soggettività. Insomma, dimensioni diverse delle culture del lavoro che si impastano in modo differenziato, quasi tailor made sui singoli soggetti.

Un terzo spunto viene dalle prospettive di mobilità professionale. Quasi la metà delle persone attualmente occupate ritiene o intende cambiare lavoro prossimamente. Alcuni hanno già opportunità alternative e il motivo prevalente è legato a un aumento del reddito percepito. Ma la maggioranza adduce motivi di natura «espressiva»: conciliare il tempo di vita lavorativa con quello familiare, migliorare il proprio equilibrio psico-fisico, aumentare la propria professionalità. Una volta di più motivazioni legate alla soggettività dei lavoratori. Non si può tralasciare, poi, anche quella quota minoritaria, ma non marginale (circa il 18%), di lavoratori che hanno deciso di abbandonare la propria occupazione pur essendo privi di un’occasione alternativa, per puri motivi personali. Fenomeno, la cosiddetta great resignation, che sta avendo una diffusione nella fase post-pandemica.

Un quarto aspetto riguarda le differenze fra le generazioni e di genere. Nei confronti del lavoro queste differenze si evidenziano, ma forse non nel modo che ci si poteva attendere. Se, per un verso, i più giovani esprimono una visione del lavoro caratterizzata dal “percorso” più che dal “posto”; per altro verso, attribuiscono al lavoro un livello di intensità inferiore rispetto ai più adulti. È come se i “figli” non assegnassero al lavoro il medesimo significato dato dai loro “padri”. Come se il lavoro fosse sì importante, ma assieme ad altri aspetti della vita. O se non fosse più il criterio più importante, ma altre dimensioni avessero assunto un’altrettanta rilevanza nel loro orizzonte. Una differenza considerevole, invece, emerge sotto il profilo del genere. Le donne presentano profili di attenzione, selettività e attese ben più elevati della componente maschile, sotto tutti gli aspetti. Maggiore attenzione ai temi della coesione sul lavoro, delle dimensioni “immateriali” così come di quelle “strumentali”, degli equilibri fra vita professionale e familiare, della formazione e molto altro ancora. Insomma, la componente femminile esprime una cultura del lavoro esigente, partecipata, calorosa. Siamo di fronte a mutamenti culturali profondi che ha nelle giovani generazioni e, soprattutto nella componente femminile, una diffusività più rilevante. Un cambio d’epoca. Le culture del lavoro sono un caleidoscopio, dove gli elementi strumentali, espressivi e di percorso di carriera si mescolano all’insegna della soggettività.

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