Così i fondi sovrani degli sceicchi stanno conquistando il mondo
di Enrico Marro
2' di lettura
Hanno una potenza di fuoco impressionante: 2800 miliardi di dollari, cifra superiore al Pil di Italia e Svizzera messe assieme. Questa montagna di denaro, secondo il Sovereign Wealth Fund Institute, è gestita da soli quattro Paesi attraverso i rispettivi fondi sovrani: Arabia Saudita, Emirati Arabi, Qatar e Kuwait. Se poi ci allarghiamo ad altre nazioni come Cina o Norvegia, ecco che nel complesso i “sovereign wealth funds” toccano i 7mila miliardi di dollari, il doppio del Pil tedesco.
Che cosa sono i fondi sovrani? Strumenti gestiti dai Governi dei Paesi grandi esportatori di petrolio per investire soldi pubblici all’estero, ma con il potere straordinario di staccare assegni a dodici zeri, grandi come il debito pubblico italiano. Così grandi che fanno paura, perché in grado di controllare fette non trascurabili di economie estere (anche europee o statunitensi, banche incluse) ma senza avere quei requisiti di trasparenza che garantiscono stabilità al sistema finanziario.
Negli ultimi anni, poi, le artiglierie economiche dei Paesi esportatori di petrolio stanno affinando la mira su obiettivi più squisitamente politici. In particolare alle latitudini del Golfo Persico, dove gli sceicchi si sentono sempre più abbandonati dal protettore di un tempo, gli Stati Uniti, il “globocop” (poliziotto mondiale) che da quando è diventato a sua volta esportatore di greggio grazie allo shale oil è diventato più distratto su quel che accade in zona Opec. Dall’accordo sul nucleare in Iran al ritiro militare dall’Iraq fino al relativo disinteresse per la Siria: l’amministrazione Obama, in particolare, ha rappresentato un duro colpo per i Paesi del Golfo.
Così gli sceicchi hanno imbracciato il bazooka dei propri fondi sovrani per fare politica, oltre che business. Quando per esempio nel 2015 il Qatar ha annunciato investimenti negli Stati Uniti per 35 miliardi di dollari affermando di non voler fare politica ma solo affari, ha detto una mezza verità: lo shopping del fondo sovrano in terra americana rappresenta uno strumento per riavvicinare i due Paesi, voluto fortemente dal giovane emiro Sheikh Tamim bin Hamad al-Thani (classe 1980), in carica dal 2013.
Russia e Asia emergono nettamente come grandi beneficiari dell’attivismo degli sceicchi e dei loro petrodollari. Iniziamo da Mosca, dove le monarchie del Golfo hanno versato almeno 20 miliardi di dollari in ordine sparso, tra investimenti agricoli, infrastrutturali (con focus su aeroporti come il “Pulkovo” di San Pietroburgo, città di Putin) e nel colosso petrolifero Rosneft controllato dallo Stato. Gli aiuti a Mosca permetteranno agli sceicchi di difendere meglio i loro interessi in Iran, Siria, Yemen e Libia, contribuendo a suon di miliardi a “orientare” la politica estera russa, attiva nell’area anche dal punto di vista militare.
Indonesia, Malesia e Thailandia sono invece i maggiori beneficiari asiatici sia dei petrodollari sauditi, con Riyad sempre preoccupata di mantenere un ruolo da leader dell’Islam sunnita, sia del fondo sovrano emiratino, con Abu Dhabi attenta a contrastare il radicalismo islamico. Anche nell’Asia musulmana gli investimenti sono assai generosi: superano complessivamente la trentina di miliardi di dollari distribuiti tra i vari Paesi e settori (dalle telecomunicazioni al turismo, dalla finanza all’immobiliare, senza ovviamente dimenticare petrolio ed energia).
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