Così l’Italia regala ogni anno 300 milioni e 30 super cervelli agli altri Paesi Ue
di Marzio Bartoloni
3' di lettura
Se l’Europa non è generosa con l’Italia nella gestione dei conti pubblici il nostro Paese si dimostra invece disposto a “regalare” preziosi fondi e i suoi migliori cervelli agli altri Paesi europei. È quello che continua ad accadere nella corsa ai fondi europei per la ricerca - quasi 80 miliardi in palio con Horizon 2020 - che ci vede finora arrancare al quinto posto per finanziamenti conquistati (siamo però il terzo contribuente Ue) e al sesto per ricercatori top ospitati in Italia. E così a conti fatti ogni anno perdiamo almeno 300 milioni e 30 super scienziati, regalandoli agli altri.
I fondi regalati agli altri Paesi
Finora l’Europa - secondo gli ultimi dati a disposizione di Scuola24 - ha messo in palio per la ricerca attraverso alcune centinaia di bandi 17,250 miliardi di euro dei circa 77 miliardi previsti da qui ai prossimi anni nel piano Horizon 2020. E l’Italia – attraverso centri di ricerca, università e imprese - ne ha conquistati 1,413 miliardi, l’8% del totale. Un risutato che ci tiene ben lontano dalle potenze della ricerca: Germania e Inghilterra ne hanno conquistati circa il doppio, rispettivamente 3 miliardi Berlino (il 18%) e 2,634 miliardi Londra (il 15 per cento). Così come restiamo dietro a Paesi a noi tradizionalmente più vicini, come la Francia - con 1,758 miliardi Parigi conquista il 10% dei fondi - e la Spagna (1,509 miliardi, il 9%). Quasi al nostro fianco la “piccola” Olanda (1,329 miliardi, circa l’8%). Un ritardo, quello italiano, che arriva da lontano – anche nel vecchio programma Ue della ricerca 2007-2013 alla fine conquistammo poco più dell’8% dei fondi in palio – e che ci vede arrancare dietro Paesi più performanti e soprattutto faticare a raggiungere il target del 10% dei finanziamenti Ue da conquistare previsto dal Governo nel recente Piano nazionale della ricerca (Pnr) 2015-2020. Il Piano varato l’anno scorso dal Governo allinea le strategie e le priorità a quelle europee proprio per provare a migliorare le nostre performance; da qui «l’aspettativa che il sistema della Ricerca Italiano – scrive un passaggio del Pnr - riuscirà ad aggiudicarsi circa il 10% delle risorse stanziate». Un obiettivo ragionevole - siamo il terzo contribuente dell’Unione europea e dovremmo ottenere dunque almeno il terzo posto nella conquista dei fondi - e il cui mancato raggiungimento oggi si traduce in almeno 300 milioni di euro persi ogni anno e “regalati” agli altri Paesi per fare ricerca.
I cervelli vanno via e non vengono in Italia
Le performance deludenti italiane si confermano anche nella distribuzione dei fondi ai migliori cervelli europei. Da circa 10 anni il Consiglio europeo della ricerca (l’Erc) assegna borse ricchissime - fino a 2 milioni ciascuna - ai migliori ricercatori per sviluppare progetti di ricerca in uno dei Paesi Ue: dai giovani (gli starting grant) a quelli in carriera (consolidator grant) fino a più esperti (advanced grant). In questa vera e propria competizione tra i migliori scienziati d’Europa (in realtà possono partecipare anche ricercatori di altri Paesi a patto che si trasferiscano nella Ue) il nostro Paese conquista un posto d’onore: i ricercatori italiani con 685 progetti finanziati sono terzi, dopo Germania (1182) e Francia (794), mostrando così tutto il loro valore e la capacità del nostro Paese di formare ottimi scienziati.
Peccato però che l’Italia scenda invece al sesto posto quando si prendono in considerazione i progetti poi realmente ospitati nel nostro Paese: in 10 anni dei 685 ricercatori che hanno vinto un grant, la metà (372) ha deciso di restare in un laboratorio italiano mentre gli altri (313) sono andati in un altro Paese, in pratica più di 30 all’anno sono andati via. Fin qui tutto normale. Nella scienza la circolazione dei cervelli è un bene. Il problema però è che dagli altri Paesi quasi nessuno ha scelto l’Italia: in 10 anni solo 36 stranieri (circa 3 all’anno)sono venuti in Italia. Pochissimi se si pensa che dei 1593 studiosi che hanno scelto l’Inghilterra, la metà viene da un altro Paese. O in Germania dove tra 1091 ricercatori vincitori di grant, 769 sono tedeschi e gli altri sono stranieri. Anche la Francia tra i 935 studiosi ne conta 271 in arrivo dall’estero. Un aiuto all’Italia può arrivare ora dalla Brexit: l’uscita dell’Inghilterra mette fuori gioco un concorrente agguerittisimo. Sapremo approfittarne?
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